Addio a Jacques Delors: sindacalista, socialista e padre fondatore dell’ Unione Europea

Pochi giorni fa, all’età di 98 anni è venuto a mancare Jacques Delors: sindacalista, socialista peculiare e originalissimo, ma soprattutto “padre fondatore” – insieme a personaggi come Monnet, Spinelli e De Gasperi – della moderna Europa politica. Delors ha infatti ricoperto la carica di Presidente della Commissione Europea negli anni cruciali del rilancio del processo di integrazione, svolgendo una funzione centrale nello sblocco della situazione di stallo che contrassegnava l’architettura comunitaria all’indomani della crisi da stagflazione.

Ma per comprendere appieno la sua figura, bisogna fare un passo indietro e inquadrarlo nella più complessiva vicenda della sinistra francese. Da questo punto di vista, è particolarmente eloquente il suo rapporto con la stagione più creativa e originale del “socialismo gallico” del Novecento, sarebbe a dire, quella che dalla “rifondazione” di Epinay del 1971 arriva fino alla vittoria della Union de la gauche che, un decennio più tardi, porterà François Mitterrand all’Eliseo.

Se guardiamo infatti all’evoluzione del profilo programmatico che contraddistingue il Partito socialista francese nel corso della seconda metà degli anni Settanta – un’evoluzione che vede oscillare il suo progetto di società tra un polo statalista ed uno autogestionario, potendosi riassumere nel trittico planification-nationalisation-autogestion – Jacques Delors può essere ritenuto come uno dei principali rappresentanti di questa sintesi, al punto di incarnarla in maniera quasi letterale. La stessa biografia e carriera politica di Delors sono infatti segnate dalla coesistenza dell’elemento del Piano e del dirigismo statale con quello dell’autogestione e delle istanze di autonomia espresse dalla società civile. Dirigente del Commissariat général du Plan ai tempi della direzione di Pierre Massé, la formazione culturale e politica di Delors vede al tempo stesso un’attenzione prevalente alle forme di autonomia e di autogoverno: il suo approdo a quella che nel decennio Settanta verrà definita la deuxième gauche è veicolato in particolar modo dalla sua iniziale adesione, in qualità di membro della CFTC (poi CFDT) al personalismo di Mounier e del movimento La Vie Nouvelle. L’idea di politica che viene promossa e perseguita in questo milieu si costruisce a partire dal concetto di democrazia “a misura d’uomo” e “a portata di mano”. Una democrazia che ha cioè nell’idea di proximité la sua principale dimensione di applicazione, intendendo poggiare proprio sullo sviluppo delle comunità di base. Questo “socialismo cristiano” – e che, in ragione di questa tensione verso la democrazia diretta e la partecipazione attiva dei singoli, definisce “tinteggiato d’anarchismo” – fa sì che il cammino di Delors, al pari di molti altri cristiani di sinistra, magari impegnati nella CFDT, venga a incrociarsi nel cuore degli anni Sessanta con quelle formazioni riunite intorno alla figura di Pierre Mendés France: ovvero una sinistra che, come è stato scritto, «dopo una riflessione sul trauma totalitario, intende re-incastrare il politico nel sociale; un programma che, in una certa maniera, oppone la sussidiarietà […] al giacobinismo».

Un’ispirazione, quella appena tratteggiata, che emergerà chiaramente tra anni Settanta e Ottanta nelle posizioni politiche che viene assumendo dapprima in qualità di militante del PS – a cui aderisce nel ‘75, in occasione delle Assises du socialisme, come membro della cosiddetta “terza componente” di derivazione associativa e sindacale – e in seguito in veste di Ministro dell’Economia e della Finanze negli esecutivi guidati da Pierre Mauroy, nell’ambito del primo dei due settennati a guida Mitterrand.  Se prima della vittoria elettorale del 1981, ragionando sul ruolo che la politica di pianificazione è chiamata ad assumere nel quadro d’azione delineato dal Projet socialiste pour la France des annèes ‘80, Delors si pronuncia a favore di una configurazione della politica di piano che sia in grado di contemperare in maniera adeguata un governo globale delle differenti variabili e componenti della struttura economica con la massima valorizzazione dei momenti e delle esperienze di autogestione; a seguito della vittoria elettorale, la sua idiosincrasia verso lo statalismo di derivazione giacobina si traduce nell’opposizione al volontarismo economico che contraddistingue i primi due anni di governo socialista, e che ha il suo principale ispiratore nella figura di Jean-Pierre Chevènement, leader del Ceres, componente marxista del PS. Lo scetticismo di Delors verso una politica economica che, in un contesto di deflazione e depressione economica, intende farsi promotrice di un progetto di “keynesismo in un paese solo”, conduce nel 1983, a seguito della traumatica triplice svalutazione del franco, al cosiddetto “tornante del rigore”: sarebbe a dire, ad una politica volta a salvaguardare la presenza della Francia nello Sme, assumendo come priorità politica il livello di prezzi e il contenimento tasso di inflazione, a scapito – però – dei livelli occupazionali e del sostegno alla domanda interna.

Nel 1985, grazie anche al ruolo giocato nel favorire la “scelta europea” del governo francese, arriva alla testa della Commissione esecutiva della Comunità Europea, facendosi promotore di un progetto di rilancio del processo di integrazione che ha il suo principale volano nella piena liberalizzazione dei fattori produttivi. Il progetto di completamento del mercato interno e la piena realizzazione delle “quattro libertà di movimento” (di merci, capitali, servizi e persone) viene illustrato nel ‘85 nell’omonimo Libro bianco, redatto da uno staff guidato dal commissario britannico Cockfield, e orienta l’azione di Delors nel corso del suo primo mandato, trovando la sua principale traduzione nell’Atto Unico del 1987. A partire da quest’ultimo, ad essere prefigurato è il cosiddetto “obiettivo ‘92”, ovvero la duplice prospettiva di un “grande mercato senza frontiere” e di un sistema decisionale più agile e dinamico, non più vincolato alla regola dell’unanimità propria del metodo intergovernativo. Nei fatti, alla base della strategia adottata da Delors sta un approccio di marca prettamente funzionalista, il metodo “dell’ingranaggio”, anche detto dello spill-over: alternativo, nei fatti, alla strategia di stampo federalista fatta propria da Altiero Spinelli con il Progetto di Trattato adottato dal Parlamento Europeo nel 1984, il funzionalismo dello spill-over – sulla scorta della lezione di Jean Monnet – muove dalla convinzione secondo cui una integrazione maggiormente serrata possa essere raggiunta più dalla messa in comune di “funzioni” e di ambiti di cooperazione, che non dalla preliminare fondazione di un potere politico unitario. Come ai tempi del Zollverein, l’unione doganale che precedette l’unificazione politica tedesca nel 1871, l’integrazione economica immaginata nel Libro bianco, implementata nell’Atto unico e ulteriormente completata sul versante monetario con il progetto di Uem predisposto nel 1989 da un comitato presieduto dallo stesso Delors, avrebbe insomma indotto naturalmente e spontaneamente gli Stati membri a completare l’integrazione in atto estendendola alla dimensione politica.

Nonostante però la preminenza e la “funzione motrice” attribuita alla dimensione mercantile ed economica, nel progetto di Delors è presente anche una dimensione sociale, ben rappresentata – oltre che dalla volontà di potenziare i Fondi strutturali e la loro azione di riequilibrio territoriale – dalla scelta di predisporre uno “zoccolo minimo di diritti sociali”, comune a tutti gli Stati membri e tale da prevenire fenomeni di dumping sociale dentro un’area economicamente integrata; ma soprattutto, dalla scelta di ricreare a livello comunitario ed europeo quella concertazione tripartita tra potere politico e rappresentati delle parti sociali, ritenuta da un sindacalista di lunga data come Delors uno dei tratti distintivi del modello sociale sviluppatosi in Europa nel corso del ventesimo secolo.

Ed è proprio attorno al tema del dialogo sociale europeo e dell’incorporazione del punto di vista dei social partner  nei processi decisionali e di produzione legislativa – i famosi “dialoghi di Valduchesse” –, che non a caso si realizza l’incontro e l’intesa tra Delors e Bruno Trentin, in quegli anni ai vertici della Cgil e profondamente deciso a dare una prospettiva europea al progetto del moderno “sindacato dei diritti” inaugurato nel 1989. Un’intesa destinata a proseguire e rinnovarsi negli anni, dapprima in occasione del secondo Libro bianco promosso da Delors, quello del ‘95 su “occupazione, crescita e competitività”, da lui visto come completamento del sistema di governance economica definito a Maastricht; e in secondo luogo, ai tempi della definizione di quella “strategia di Lisbona” che avrebbe dovuto fare del sapere e della formazione permanente (life-long learning) il perno di un rinnovato modello sociale europeo e della crescita qualitativa da perseguire nel contesto della globalizzazione e del nuovo millennio.

Ad andarsene è dunque un protagonista del Novecento: militante e dirigente del sindacalismo cristiano, attore peculiare del movimento socialista francese, economista di pregio, padre fondatore dell’Unione Europea. Una figura sempre vicina alla sinistra italiana e alla CGIL, con la quale ha collaborato in più occasioni e in diversi modi: tra questi, e ciò ci onora profondamente, facendo parte del Comitato dei garanti della Fondazione Giuseppe Di Vittorio.

Foto:  Rémi Jouan,  Wikimedia Commons

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