Il mio capocordata, Massimo Mascini

Era il mio capocordata. Per me, giornalista, che in quanto tale non ho mai aderito a un partito o a in gruppo politico, lui, Bruno Trentin, era l'unico che riconoscevo come capocordata.
Perché andavo in montagna con lui, ad arrampicarci, lui sempre primo, io sempre secondo. E poi perché quello che diceva mi andava quasi sempre bene. Era il mio capocordata. Per me, giornalista, che in quanto tale non ho mai aderito a un partito o a in gruppo politico, lui, Bruno Trentin, era l'unico che riconoscevo come capocordata.
Perché andavo in montagna con lui, ad arrampicarci, lui sempre primo, io sempre secondo. E poi perché quello che diceva mi andava quasi sempre bene.
L'ultima volta che l'ho visto, prima del suo incidente, un anno fa o poco più, lo intervistai sul governo Prodi, appena formato.  Mi parlò della sua fragilità, sottolineando come fosse esposto a ogni vento, quali sarebbero state le difficoltà che avrebbe incontrato.
Lo fece come era abituato, approfondendo l'analisi in ogni aspetto, mettendo in evidenza rischi e potenzialità. Con intelligenza e attenzione.
Con lui era sempre così, come in montagna.
Guardava gli ostacoli, le difficoltà, elaborava una strategia e poi partiva spedito, senza pensarci più. E arrivava in cima. È così che è diventato quel grande sindacalista che abbiamo conosciuto e amato, tra i migliori della grande Cgil.
Le prove che superò furono le più ardue.
Cavalcò il '69, la fiammata operaia, restando in sella al cavallo più difficile da guidare, la sua Fiom, i suoi metalmeccanici. E poi andò avanti negli anni, senza paura.
Pronto alla lotta dura potremmo dire, se non fosse troppo facile.
Il meglio lo dette in quei magici anni in cui diresse la Cgil. Aveva trovato la confederazione stremata, senza una guida, divisa profondamente al suo interno in mille rivoli. Con pazienza e tenacia la rafforzò, la riunificò, le dette un programma, un obiettivo, gettando le basi delle nuove, moderne relazioni industriali. Fu un faro per tutti e tutti portò in salvo in porto.
Eppure gli toccò di far fronte a eventi terribili, sconvolgenti. La caduta del muro di Berlino, la scomparsa del Pci, la scissione del partito di riferimento, la nascita di una corrente interna di opposizione fortissima. Lui andò avanti senza tentennare mai, sciolse le componenti partitiche, rafforzò l'autonomia dalla politica, indicò a tutti la via del sindacato dei diritti, dando anima e corpo al concetto di sindacato generale che la Cgil non aveva mai abbandonato.
Adesso non c'è più, se ne è andato via. Una perdita che sarà durissimo affrontare. Ci mancheranno la sua intelligenza, la sua cultura, la sua profonda umanità. E il suo sorriso, il calore che emanava, la mano che ti tendeva per superare di un balzo quell'ultimo ostacolo verso la cima. Proprio adesso che tanto ci sarebbe servito di nuovo in aiuto, un'indicazione sulla strada da intraprendere.
Resterà nei nostri ricordi, nel nostro cuore.

(da 'Il diario del lavoro')