Grazie da tutto il sindacato, Pierre Carniti

Per la Cgil e per l’intero sindacato italiano con la sua scomparsa viene meno un essenziale riferimento culturale e politico. In effetti per il ruolo e l’azione svolta in decenni di attività Bruno Trentin ha lasciato una traccia profonda nella vicenda sindacale italiana. Mi riferisco non tanto al contributo concreto fornito alla realizzazione di questo o quell’accordo, in funzione di questa o quella politica. Ovviamente la definizione delle politiche da perseguire costituisce sempre un passaggio impegnativo. In alcuni casi addirittura tribolato. Tuttavia, per quanto rilevanti, le politiche sono sempre il prodotto della storia. Destinate quindi a mutare con il mutare del contesto storico. Ci sono invece degli aspetti che hanno costituito delle discriminanti, delle linee guida, nell’iniziativa di Trentin che mantengono sostanzialmente immutato il loro rilievo e che, sono indotto a pensare, a lui farebbe piacere che venissero ricordati anche in questo triste momento di commiato.

Il primo riguarda l’impegno e la tensione unitaria. Oggi la questione non sembra proprio stare in cima alla scala delle priorità sindacali. Eppure resta fondato l’assunto che nella dialettica e nelle battaglie economiche-sociali non basta avere ragione. Ma occorre anche la forza per farla valere. E per i lavoratori questa forza dipende dal grado di unità che riescono a realizzare.

Un secondo aspetto, costantemente presente nell’analisi e nella valutazione di Trentin, è relativo al fatto che il sindacato, come tutte le istituzioni, è esposto al ricorrente pericolo di burocratizzarsi. Con il rischio che la democrazia interna scivoli progressivamente verso omaggi rituali a cui corrispondono rifiuti sostanziali. Il sindacato può scongiurare questo pericolo mortale solo se riesce a trovare la forza, il coraggio, la capacità per rimettere periodicamente in discussione sé stesso; i suoi assetti; la sua struttura, il suo modo di formare le decisioni. Trentin questo coraggio lo ha avuto ed ha saputo metterlo in campo.

Un terzo elemento riguarda la straordinaria capacità di apertura culturale di Trentin. Capacità che gli ha consentito di coinvolgere in maniera spregiudicata, valutando gli apporti anziché l’appartenenza, numerosi uomini di cultura nell’opera di dotare i lavoratori italiani di un sindacalismo che fosse all’altezza dei nuovi tempi e delle nuove sfide. Poiché si tratta di un problema che non si risolve mai una volta per tutte sarebbe auspicabile che un impegno in questa direzione riuscisse a farsi nuovamente strada.

La quarta dimensione riguarda l’autonomia del sindacato. I più anziani (o i meno giovani) ricordano bene che nell’Italia del dopoguerra, travolti da vent’anni di cultura fascista, non era assolutamente facile affermare l’autonomia del sindacato dallo Stato. Ancor meno quella dai partiti. Tanto più rispetto ad un partito come quello comunista, convinto assertore che il primato della politica coincidesse con il primato del partito. Affermare l’autonomia del sindacato poteva quindi non essere agevole per un uomo come Trentin che partecipava anche alla vita di partito come parlamentare (anche se fu il primo ad accettare ed applicare la regola della incompatibilità) ed era nel contempo una presenza autorevole nel mondo comunista. Tuttavia egli aveva ben chiari i termini del rapporto tra autonomia ed unità. Nel senso che, anche se è difficile stabilire una relazione logica e cronologica, in qualche misura meccanica, è del tutto evidente che senza autonomia l’unità risulta praticamente irrealizzabile e che senza unità l’autonomia viene messa costantemente a rischio. Questi erano i termini del problema ed in un modo o nell’altro bisognerà tornare ad affrontarli. Anche perché, come avrebbe detto con il suo inconfondibile umorismo Bruno, nelle grandi organizzazioni collettive i problemi non si comportano come il vino, che invecchiando migliora.

Per ultimo, ma non da ultimo, in cima alle preoccupazioni di Trentin c’è sempre stata la tenuta morale del sindacato. Che ovviamente vuol dire costante, rigorosa ed intransigente opposizione all’uso privato delle responsabilità sindacali. Oltre tutto ben sapendo che gli innovatori, quando cercano strade nuove per la soluzione dei problemi del lavoro, devono essere più severi ed accurati di altri anche sul piano della moralità pubblica. Credo di non sbagliare nel ritenere che se il mondo sindacale italiano è risultato estraneo, salvo casi marginali, rispetto ai diffusi fenomeni di corruzione pubblica, molto si deve a questa consapevolezza. Consapevolezza che, negli anni dell’immediato dopoguerra, ha significato vegliare perché nella rinascita dell’organizzazione sindacale non trovassero spazio uomini d’avventura. Mentre nei decenni successivi, per l’importanza crescente che veniva assumendo il sindacato, per il progressivo riconoscimento ottenuto, bisognava stare all’erta per scongiurare gli accresciuti rischi di trasgressione. In questo contesto l’unica garanzia non poteva che essere una costante attenzione al clima morale interno. In sostanza la convinzione che non c’è bravura o competenza che possa sostituirsi alla motivazione etica. L’esigenza permane ed il futuro del sindacalismo confederale dipende dalla capacità di farvi fronte.

C’è infine una traccia nell’intera vicenda di Bruno Trentin, (sindacalista, intellettuale, politico) che mantiene intatta la sua rilevanza. Pur respingendo mitologie ottocentesche e convinto della assoluta necessità di un processo di modernizzazione del paese, Trentin ha sempre guardato al futuro civile come ad un assetto in cui il mondo del lavoro fosse cardine, in cui i lavoratori attraverso la loro organizzazione potessero pesare in quanto “soggetto politico autonomo”. Nel suo progetto e nella sua azione c’è sempre stata una sapiente equidistanza sia da concezioni radicali e velleitarie, sia dal piatto realismo di chi intende il sindacato come semplice strumento tecnico.

Quel progetto, pur con gli adattamenti necessari, resta in larga misura ancora da perseguire. Per portarlo avanti c’è bisogno di un rinnovato impegno. C’è soprattutto bisogno, sulla base della testimonianza di vita di Bruno Trentin, che intuizione politico culturale e determinazione morale procedano sempre assieme.

Per queste ragioni vorrei accomiatarmi da lui dicendogli semplicemente. “Ciao Bruno e grazie. Grazie anche da tutto il sindacato”.

Pierre Carniti