Cosi' le Coop perdono l'anima

Intervista apparsa  sull'Unità, a cura di Bruno Ugolini, il 31-12- 2005 sui problemi dell'Unipol e le varie polemiche del'epoca. Trentin respinge l’attacco al gruppo dirigente dei Ds, ma invita tutti ad una riflessione sull’involuzione e lo snaturamento del ruolo del movimento cooperativo. La scalata alla Bnl non faceva parte di un progetto sociale. La storia del fallimento d’una banca tedesca voluta da sindacati e cooperative.


Qualcuno ha parlato, in queste frenetiche settimane di discussione sul caso Unipol, di una questione morale per la sinistra. Bruno Trentin pensa che questo sia il tema all’ordine del giorno?

No, francamente non lo penso. Le questioni morali si manifestano nella storia del nostro Paese, come di altri, quando, ad esempio, un amministratore delegato si comporta in modo disinvolto e provato dalla magistratura. Il gruppo dirigente dei Diesse, e in modo particolare il suo presidente e il suo segretario generale, non hanno nessuna responsabilità per avere anche dato personalmente fiducia ad una persona che si è dimostrata indegna.

Non c’è stato un errore di valutazione, come ha sostenuto Giorgio Napolitano?

Noi possiamo commettere questo errore in ogni momento. I dirigenti dell’Unipol non sono stati però incoraggiati in attività illegali. Semmai non si è riflettuto abbastanza, ma questo riguarda tutti noi, sull’involuzione del movimento cooperativo. Non siamo di fronte ad un problema morale e nemmeno giuridico, dato che l’Opa dell’Unipol era giuridicamente inoppugnabile. Il problema è quello di sapere se un movimento come il movimento cooperativo possa esprimere delle direzioni, dei gruppi dirigenti che rendono possibile, quanto meno, delle deviazioni dal corso normale, come quelle che sembrano essere accadute nel caso di Consorte.

Non c’è stata anche un’assenza di controlli?

Pretendendo di essere diventate imprese “come le altre” e questo con un appoggio superficiale delle forze di sinistra, le cooperative si sono private anche di quegli anticorpi che avrebbero dovuto garantire la coerenza tra il comportamento dei manager delle singole società, con le regole di un’impresa mutualistica e solidale.

C’è chi dice che Consorte e soci abbiano tradito i valori cooperativistici. Altri dicono: era un tentativo di innovare, stando al passo coi tempi…

Certo, occorreva che il movimento cooperativo si mettesse al passo coi tempi rendendo più efficace la propria azione, nel rispetto, però della missione storica che si era dato fin dal suo sorgere. Rendere più efficienti le cooperative per che cosa? Solo per la ricerca di un arricchimento finanziario oppure per mantenere saldi certi principi di solidarietà sociale?

Un tema emerso anche nella “scalata” alla Bnl?

Io come semplice cittadino non trovavo nel progetto industriale, estremamente vago, dell’Unipol, il segno quanto meno di un suo collegamento con la storia della cooperazione in Italia. Penso, ad esempio, ad una politica d’investimenti qualitativamente orientati verso lo sviluppo di una società meno diseguale, il segno di una volontà d’innovare nel campo sconfinato dei servizi, salvaguardando un carattere solidale all’intervento. È apparsa come una questione di potere, del tutto rispettabile se fatta senza infrangere le leggi, ma che non aveva niente a che fare con la filosofia del movimento cooperativo.

Tutta colpa del gruppo dirigente cooperativo?

Io credo cha siamo ancora schiavi del culto della personalità. Abbiamo impiegato 30 anni a capire che il culto della personalità non spiegava le deviazioni nelle forme di socialismo autoritario, come quello dell’Unione sovietica. Stiamo attenti a non ridurre adesso alla questione del gruppo dirigente dell’Unipol, la spiegazione di un processo. Tale spiegazione esautora ognuno di noi da una riflessione critica su questi ultimi 20-30 anni, sul modo cioè in cui il movimento operaio nel suo insieme ha affrontato la grande ristrutturazione capitalista che ha avuto luogo in questo periodo. Non solo, l’Unipol, ma una parte non piccola del movimento cooperativo, ha assunto comportamenti che fuoriuscivano completamente dalla propria missione originaria.

A quali fatti ti riferisci?

Vi sono delle cooperative sociali che si distinguono soltanto per il sottosalario, l’infrazione dei diritti a danno dei lavoratori occupati. E invece queste cooperative dovrebbero avere nel loro Dna la costruzione di rapporti originali di coinvolgimento dei lavoratori, non dico nella gestione ma nell’informazione e nel controllo della gestione.

Non siamo di fronte, dunque, come pure si è detto, ad un complotto contro la sinistra?

No, non lo vedo affatto. Casi come quello di Consorte ce ne sono stati tanti...Abbiamo avuto, ad esempio, episodi spero lontani che hanno rivelato una compromissione di certe imprese cooperative con la parte peggiore della politica italiana, addirittura con la criminalità organizzata nella persona di un sindaco di Palermo, Ciancimino.

Tali deformazioni sono apparse anche nella storia di altri Paesi?

Io ricordo con dolore la storia di un grande dirigente sindacale tedesco dei metalmeccanici che fini male per una politica di insider trading, nell’impresa in cui rappresentava i lavoratori. Così come ricordo, negli anni Settanta, il fallimento della più grande banca mai costruita da sindacati e cooperative in Germania e che travolse un intero gruppo dirigente della Dgb. Con il sindacato assediato da migliaia di lavoratori licenziati da questa operazione bancaria.

È successo qualcosa del genere anche in Italia?

È cambiato totalmente il rapporto tra sindacati e movimento cooperativo. La Lega delle cooperative da molti anni è schierata con la Confindustria sempre contro i sindacati. Ha appoggiato manovre di divisione del movimento sindacale, come al tempo della scala mobile. Mentre nei primi anni del dopoguerra era davvero una forza che aiutava i lavoratori a difendere se stessi contro i licenziamenti e le ristrutturazioni. Sembra che gran parte del movimento cooperativo abbia perso l’anima in questa trasformazione. E questa la riflessione che non criminalizza nessuno ma chiama tutti noi ad una grande responsabilità.