Andria

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1970: le conquiste sindacali tra Dignità e Costituzione

di Nicola Deleonardis. Storico e studioso della materia

 

In occasione del cinquantennale della l. 83/70 e della l. 300/70, si è scelto di celebrare il 1° maggio introducendo queste brevi considerazioni con la copertina del saggio di G. Gramegna, Braccianti e popolo in Puglia. 1944-1971. Cronache di un protagonista, Bari, Ed. DeDonato, 1976.

Come traspare dal titolo, la monografia è carica di significati, tra i quali spicca il protagonismo dello stesso autore (segretario della Federbraccianti provinciale di Bari e poi confederale) nelle lotte bracciantili che hanno caratterizzato la storia pugliese e italiana del primo trentennio della Repubblica; lotte che si inseriscono all’interno di una stagione estremamente difficile e controversa, il c.d. “autunno caldo”, costellata da numerosi scioperi e manifestazioni di protesta, con i lavoratori metalmeccanici e agricoli impegnati in prima linea contro i licenziamenti discriminatori e il mercato di piazza, come mostrano le altre due foto selezionate. Il periodo considerato, dai fatti di Avola e Battipaglia del 1968, allo sciopero generale dei metalmeccanici del 28 novembre 1969, sino alla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, si conclude con rilevanti conquiste sindacali.

Oltre ad importanti vittorie sul versante contrattuale, come l’accordo con la Confindustria e il Patto Collettivo per gli operai agricoli del 1970, sul piano normativo si realizzano alcune riforme che hanno inciso profondamente sulla dialettica tra capitale e lavoro. Il rinnovo dei contratti, infatti, si intreccia con decisive novità legislative tese a rafforzare la posizione del contraente debole del rapporto di lavoro, legando l’annosa questione della disoccupazione con la tutela del lavoratore e rafforzando la presenza del sindacato in azienda e nelle dinamiche di sviluppo generale del Paese. Le istanze suddette si traducono nella riforma del collocamento pubblico in agricoltura (d.l. 3 febbraio 1970 n.7, conv. in l. 11 marzo 1970 n.83) e nello Statuto dei Lavoratori (l.  20 maggio 1970 n.300).

Mutuando le parole del giuslavorista Mario Napoli (in La dignità, 2011), se il «diritto del lavoro è stato sempre sensibile all’idea di dignità», si potrebbe affermare che tali norme rappresentano l’espressione massima della dignità. Una dignità che si esprime in termini di diritti rispettivamente su due livelli: dignità nel mercato (del lavoro) e dignità nel rapporto (di lavoro), soprattutto attraverso il rafforzamento del potere sindacale.

La riforma del collocamento pubblico in agricoltura, rompendo la subalternità e il ricatto padronale, ha trasformato gli uffici di avviamento al lavoro da luogo di scambio di una merce (della forza lavoro) a luogo attraverso cui il lavoro salariato agricolo si è emancipato, colorandosi di dignità. L’ufficio di collocamento è stato il luogo in cui si è concessa all'impresa una forza lavoro flessibile, nominativa nella sua parte specializzata e numerica per le altre mansioni: un ufficio gestito in forma pubblica pariteticamente dalle parti sociali. La l. 83/70 ha, in sostanza, pienamente concretizzato quanto promuove l’art. 4 della Costituzione: il diritto al lavoro. Il diritto al lavoro, su di un piano assiologico, è circolarmente collegato all’art. 1 della Costituzione, poiché il lavoro garantisce dignità alla “persona” – parola colma di spiritualità rispetto al “soggetto” (come già affermava Rodotà ne Il diritto di avere diritti, 2012) - qualificandosi come crocevia per l’autodeterminazione individuale nella Repubblica. La l. 83, inoltre, garantiva una maggiore partecipazione democratica della rappresentanza sindacale ai processi di sviluppo aziendale attraverso il confronto sui piani colturali.

La centralità della tutela dei diritti e della partecipazione democratica, condizioni imprescindibili ai fini dello sviluppo e autodeterminazione della personalità umana, è ben delineata nello Statuto dei Lavoratori. La l. 300/70 rafforza la posizione del lavoratore quale contraente debole del contratto e lo dota di una libertà e dignità in quanto tale, spogliando l’imprenditore di una serie di prerogative che sino a quel momento hanno contribuito pesantemente a cementificarne il dominio. La l. 300/70 si configura come la realizzazione della libertà sostanziale e della dignità sociale previste dall’art.3 della Costituzione, mediante cui la Repubblica viene investita del compito di rimuovere gli ostacoli di carattere economico e sociale che impediscono lo sviluppo della persona. Secondo questa prospettiva lo Statuto disciplina il controllo e la vigilanza sul lavoro e avalla gli atti di proselitismo politico-sindacale, causa molto spesso di licenziamenti discriminatori, come descritto in Fiat Confino di A. Accornero. Il licenziamento è un aspetto da tenere in debita considerazione: l’art. 18 dello Statuto, favorendo la stabilità del lavoro, garantisce un maggior bilanciamento tra art. 4 e art. 41 della Costituzione, nella misura in cui l’iniziativa privata è libera sino a quando non sia lesiva della dignità umana (del lavoratore e non solo). La disciplina del rapporto individuale si integra nello Statuto con il potenziamento delle funzioni di tutela individuali e collettive del sindacato, in grado di “entrare in fabbrica” attraverso le rappresentanze aziendali e le assemblee sindacali, rinsaldando il rapporto tra contrattazione collettiva e norma giuridica.

Il 1° maggio 1970 ha rappresentato, quindi, un ponte tra certezza (la riforma del collocamento in agricoltura) e speranza (lo Statuto dei Lavoratori): la festa del 1 maggio trasuda dignità. A distanza di 50 anni, celebrare il 1° maggio equivale a riaffermare il principio della dignità «degli uomini che lavorano» in un periodo storico in cui essa è stata fortemente compromessa.

 

 

 

 

 

 

FONDAZIONE RITA MAIEROTTI - CGIL PUGLIA

 

 

 

 

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