Dieci anni di Jobs Act: i numeri del lavoro
La presente ricerca descrive l’andamento dell’occupazione nei dieci anni trascorsi dall’approvazione della riforma del lavoro nota come Jobs Act che, introducendo nel marzo del 2015 il così detto “contratto a tutele crescenti”, ha di fatto abolito il diritto alla reintegrazione delle lavoratrici e dei lavoratori licenziati in modo illegittimo nelle aziende private con più di 15 addetti. L’analisi distingue i primi cinque anni – dal 2014 al 2019 – dai cinque anni successivi, segnati questi ultimi dalle politiche espansive adottate in risposta alla crisi provocata dalla pandemia da Covid – 19.
Il primo paragrafo presenta in estrema sintesi le tendenze di lungo periodo che hanno segnato il declino dell’economia italiana, relegandola in una posizione di secondo piano rispetto alle dinamiche tecnologiche che determinano le nuove catene globali del valore (GVC).
Vengono quindi ricostruite le variazioni dell’occupazione nella seconda metà degli anni Dieci del nuovo secolo sulla base dell’analisi dei microdati della Rilevazione delle Forze di Lavoro dell’Istat, centrando prima l’attenzione sulle tipologie contrattuali dell’occupazione dipendente, quindi sui settori e sulle professioni. Un paragrafo è infine dedicato alle statistiche di fonte Inps relative alle attivazioni e alle cessazioni dei contratti occorse nello stesso quinquennio (2014-2019).
La seconda parte mette a fuoco le variazioni della struttura dell’occupazione nel periodo post-pandemico, con un affondo relativo al biennio 2021-23 sugli occupati a tempo determinato e/o parziale (area del disagio), sui settori e sulle professioni in crescita o in contrazione. L’ultimo paragrafo confronta i tassi di occupazione e disoccupazione in Italia e in Europa per rilevare che oggi la posizione del nostro Paese nel contesto internazionale non è migliore di quella di dieci anni fa.
Vedremo quindi che la riforma non ha modificato sostanzialmente la traiettoria tendenziale dell’occupazione, tracciata sulla falsariga di un modello competitivo di retroguardia, basato sulla compressione dei costi (del costo del lavoro in particolare) piuttosto che sull’innovazione di prodotto e di processo. Ma se ha fallito l’obiettivo dichiarato (e non poteva essere diversamente), la riforma ha centrato probabilmente l’obiettivo implicito, indebolire lo spirito di condivisione e solidarietà delle lavoratrici e dei lavoratori e, in questo modo, la loro forza contrattuale.