Banca dati sugli scioperi degli anni 1943 - 1944 - 1945
All’origine del database Cronologia degli scioperi 1943-1945 vi fu l’idea di accompagnare i testi dell’“Annale” 2015 della Fondazione Di Vittorio (poi pubblicato con il titolo di Operai, fabbrica, Resistenza: conflitto e potere nel triangolo industriale (1943-1945) – Roma, Ediesse, 2017) con una ricca Appendice dedicata alle cronologie degli scioperi avvenuti nel triangolo industriale durante la Resistenza: un’idea nata nel momento in cui apparve evidente che la ricerca stava facendo emergere una densità inattesa di agitazioni e scioperi, notevolmente superiore ai dati conosciuti. Una prima verifica confermava infatti i limiti delle cronologie sul tema fin qui pubblicate a margine di singoli studi (con la sola eccezione, forse, di quella riportata nel volume del 1969 curato dal gruppo di ricerca dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia – ora Istituto Nazionale “Ferruccio Parri” – dedicata ai 45 giorni). Apparve anche evidente che colmare le lacune comportava un supplemento di ricerca piuttosto impegnativo.
Per tentativi successivi si giunse a definire una griglia spazio-temporale che andava a identificare cinque blocchi cronologici, corrispondenti a cinque fasi diverse del conflitto operaio: gli scioperi del marzo aprile 1943, gli scioperi dei 45 giorni, gli scioperi dal novembre 1943 al febbraio 1944, lo sciopero generale del marzo 1944, gli scioperi dal maggio 1944 all’aprile 1945. Restavano fuori dal censimento (come restano fuori dal presente database) due momenti cruciali: le giornate dell’8 settembre 1943 e quelle insurrezionali. In questi due passaggi le particolari condizioni di contesto (sociali, politiche e militari) fecero infatti sì che le attività delle fabbriche, almeno nei centri industriali più grandi, si interrompessero totalmente e le stesse fonti disponibili non sembrano consentire, per queste fasi eccezionali e complesse, ricostruzioni puntuali e significative di tipo cronologico. Per le fasi prese in considerazione nell’ottica dell’“Annale” si decise comunque di articolare la cronologia per aree geografiche (Torino e Piemonte, Milano e Lombardia, Genova e Liguria) perché gli scioperi, che trovavano nei tre centri del triangolo industriale i luoghi di avvio e di maggiore intensità della lotta, innescavano quasi sempre una scia di agitazioni non solo in provincia, ma anche in più territori delle regioni di cui erano capoluoghi. Si ritenne cioè preferibile procedere per aeree geografiche regionali anche per valorizzare i tratti specifici di ciascun territorio. Fin qui, come si accennava, i passi iniziali. In seguito, tuttavia, furono da un lato la notevole quantità di (piccoli e grandi) scioperi individuati e la necessità di darne conto con la maggior ricchezza possibile di elementi di contesto, dall’altra l’impossibilità di affiancare al volume dell’“Annale” in senso proprio un secondo tomo dedicato in toto all’Appendice degli apparati cronologici (come da ipotesi elaborata in corso d’opera), a stimolare il gruppo di lavoro nella direzione di un passo ulteriore, capace di far dialogare il lavoro svolto con le potenzialità comunicative del digitale e del web: un passo appunto poi concretizzatosi nel database che qui si presenta. Quest’ultimo può oggi offrire agli utenti, attraverso il ricorso selettivo ai vari campi delle maschere di ricerca, tanto la fruizione delle cronologie in versioni che riproducono le cinque aggregazioni regionali e temporali di cui sopra, quanto la possibilità la ricerche mirate secondo più ampi (o più specifici) criteri di interesse: per data, per località, per stabilimento, ecc.
Precisate queste premesse di ordine generale, va ricordato che per ogni ‘evento-sciopero’ individuato si sono cercate di ricavare dalle fonti informazioni relative ad azienda, fabbrica, stabilimento coinvolti (addetti complessivi, ramo produttivo, ecc.), reparti, numero e tipologia dei lavoratori coinvolti, rivendicazioni e motivazioni delle proteste, orario di inizio e durata delle stesse, misure repressive adottate, presenza di soggetti altri (ad esempio partigiani). Per ogni evento si è inoltre scelto di esplicitare i riferimenti alle fonti utilizzate. L’insieme delle fonti vagliate per ciascuna delle cinque fasi di mobilitazione può invece essere visionato alla pagina del sito attestano l’entità dello sforzo di sistematicità compiuto dal gruppo dei ricercatori, gli inevitabili confini del medesimo e, nei confronti della comunità degli studiosi e degli utenti del database, un’implicita apertura al dialogo e a ogni possibile contributo correttivo e integrativo.
Nell’insieme ci pare che ne sia emerso, senza pretese di esaustività, un repertorio cronologico quantitativamente più completo e sul piano qualitativo più ricco rispetto ad altri consimili apparati. In questo senso ci pare che il database costituisca non solo un utile corredo alle narrazioni di tipo storico e storiografico, ma sia uno strumento di lavoro originale e dalle grandi potenzialità proprio perché per propria natura migliorabile e implementabile nel tempo grazie a ulteriori ricerche e poi perché capace di offrire, aggregabili e disaggregabili secondo necessità, una messe di dati (fin qui raramente accostati) tale da costituire di per sé una novità e da poter stimolare e promuovere ulteriori passi di approfondimento.
Le scelte fatte mirano del resto chiaramente a tenere aperti nuovi possibili sviluppi della ricerca: intanto è auspicabile la possibilità di estendere quest’ultima anche alle altre regioni del centro-nord occupate dai tedeschi e su cui sappiamo già esistere lavori di sintesi ampiamente utilizzabili. Sul piano temporale va non di meno considerata la possibilità di estendere la ricerca agli anni immediatamente successivi alla guerra, almeno fino al 1948, considerando così nel suo insieme un ciclo decennale di mobilitazioni che vide riaffiorare la dimensione del conflitto come elemento caratterizzante il mondo del lavoro in genere e le relazioni industriali in particolare.
Questi apparati cronologici contribuiscono inoltre a meglio evidenziare non solo le ricostruzioni fattuali esistenti, ma anche a individuare possibili e diverse letture e precisazioni interpretative. Questo punto merita almeno un rapido cenno, in qualche modo suggerito dal percorso compiuto. Essi infatti forniscono una rappresentazione parziale, ma immediata del carattere estremamente diffuso, talora quasi pulviscolare, di questa specifica forma di resistenza che fu lo sciopero. Così, ad esempio, le molte fonti di parte fascista utilizzate nel database rivelano, nelle loro dimensioni di ‘serialità’ e ‘continuità’, ben più di quanto ci comunichino rispetto al singolo sciopero o al singolo stabilimento oggetto di attenzione: fonti nate per il controllo sociale e la repressione si rivelano infatti fonti di mero e per lo più impotente ‘censimento’ dell’indisciplina operaia di massa. Il quadro che se ne ricava rimanda così in modo immediato ad alcune acquisizioni storiografiche forti, ancorché forse non ancora sufficientemente sedimentate come tali ad altri livelli della riflessione civica o della pubblica comunicazione. Intanto appare ampiamente confermato che la Resistenza ebbe anche una dimensione di massa, socialmente diffusa molto al di là del numero dei ‘partigiani’ e degli antifascisti ‘ufficialmente’ riconosciuti. Ogni sciopero censito, configurando un nemico da colpire per tedeschi e fascisti, sottrae in tal senso un luogo – o, meglio, una componente sociale -relazionale – alle letture semplificatorie sulle fortune dell’attesismo e sulla presunta estensione della ‘zona grigia’. In secondo luogo appare confermato quanto il rapporto tra Resistenza armata e società fosse un rapporto complesso: le lotte operaie in un certo qual modo precostituivano le condizioni perché l’antifascismo potesse presentarsi come interprete di sentimenti diffusi come il rifiuto della guerra e di una condizione umana, nel caso specifico della condizione operaia, che la guerra abbassava a livelli insopportabili. Per esemplificare si può sostenere con la forza dei numeri che, se gli scioperi del marzo 1943 e anche quelli dell’agosto successivo non furono ancora atti di resistenza nel senso pieno del termine, ne furono però il terreno di coltura perché rafforzarono gli uomini dell’antifascismo (élites politiche, intellettuali, culturali e militari) che vedevano nell’affiorare della protesta attiva di giovani, di operai, che non ne volevano più sapere di guerra e di fascismo, la conferma di un percorso che rifiutava le scelte di un potere che si rapportava con la società prevalentemente con gli strumenti della repressione. Fu una forma di legittimazione dal basso dell’opposizione al fascismo che non può essere ricondotta solo alla dimensione dell’antifascismo politico e storico. Dopo l’8 settembre questo rapporto si rinforzò anche attraverso i comportamenti conflittuali che nelle fabbriche e nel mondo del lavoro in genere si andarono estendendo secondo dinamiche complesse (e non di rado pagate a caro prezzo). Uomini e donne, attraverso gli scioperi, manifestarono la propria indisponibilità a continuare a vivere nella fame e nell’abbrutimento morale e materiale imposto a tutto il corpo sociale dalla guerra nazista e dalla versione ultima del fascismo. Uomini e donne che nell’esperienza del quotidiano, nelle difficoltà della vita e del lavoro di ogni giorno, iniziarono a ritagliare per sé, a costruire attorno a sé, spazi di autodifesa, di autonomia, di emancipazione, ‘di liberazione’: elementi primi che possono essere tradotti, insieme con la condanna di una guerra disruttiva, nel rovesciamento della visione fascista del lavoro e del ruolo dei lavoratori nella società.
Cristian Pecchenino, Claudio Dellavalle
Il progetto è realizzato dall’Istituto Piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti”, dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio, dalla Fondazione Isec, dall’Anpi, da Ilsrec con il contributo dello Spi - Cgil di Torino e dello Spi - Cgil Piemonte.
E’ possibile accedere alla banca dati cliccando il link in fondo alla pagina.