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Quel Sud che cambiava, di Gloria Chianese

 

Pubblichiamo qui il testo dell'intervento di Gloria Chianese, nella giornata di studio in onore di Bruno Trentin su 'Il Mezzogiorno. Da Battipaglia ad oggi. Realtà e problemi', organizzato dalla Cgil Campania, e dalla Cgil di Salerno, il 28 maggio del 2009.
Bruno Trentin, nella sua lunga storia di dirigente sindacale, ha riflettuto spesso sul Mezzogiorno, soffermandosi sulle trasformazioni del Sud nel sessantennio repubblicano. L’ampia produzione di saggi, articoli, interventi ha come tratto costante la capacità di cogliere le discontinuità e i mutamenti del Mezzogiorno che, nella seconda metà del Novecento, conosce una fase di intenso sviluppo, caratterizzata da forti squilibri economico-sociali, da carenze di crescita democratica e, negli ultimi decenni, dalla drammatica affermazione della criminalità organizzata.

Prima di addentrarsi in questa problematica può essere utile ricordare come, nella formazione politica di Trentin, sia stata determinante l’esperienza della Resistenza,  vissuta inizialmente attraverso la mediazione della figura del padre Silvio e condotta nelle formazioni partigiane di 'Giustizia e Libertà'.  Mi sembra importante sottolineare questo aspetto perché la lotta antifascista è stata elemento costitutivo della cultura della Cgil e quel patrimonio politico ha costituito uno stimolo per rileggere in chiave unitaria la storia del paese e del Mezzogiorno. Qui la fase di genesi dello stato repubblicano ebbe caratteristiche diverse dal centro-nord, dove furono centrali i venti mesi della Resistenza. Nel dopoguerra, pur prevalendo l’influenza delle forze conservatrici, non mancavano istanze di democrazia presenti, in particolare, nel mondo delle campagne, attraversato dall’intensa  stagione di lotte per la riforma agraria.
La Cgil, guidata da G. Di Vittorio, si configurava come una delle forze del nuovo meridionalismo, avviando la riflessione sulla necessità di porre l’arretratezza economica e sociale del Sud come problema prioritario della giovane repubblica italiana.

In questa Cgil entrava, nel 1949, Bruno Trentin, che venne inserito nell’Ufficio Studi su proposta di Vittorio Foa, con cui aveva condiviso l’esperienza della Resistenza e la militanza nel PdA. L’elaborazione del Piano del Lavoro della Cgil fu occasione per Trentin di misurarsi con le capacità dell’organizzazione sindacale di prospettare al paese una propria idea di ricostruzione, nella quale il Mezzogiorno entrava a pieno titolo . La Cgil poneva il problema della riforma agraria e, più in generale, tentava di elaborare un modello di sviluppo che desse risposta anche ai nodi irrisolti della questione meridionale.

Agli inizi degli anni Sessanta, mentre era in pieno svolgimento l’ondata migratoria dal Sud verso il triangolo industriale, lo schema di un’indistinta arretratezza del Mezzogiorno risultava meno persuasivo. Analizzando le trasformazioni del sistema capitalistico, Trentin poneva, anche per quest’area del paese, il problema di comprendere i mutamenti socio-economici di una realtà in rapida trasformazione . Riteneva indispensabile per il sindacato confrontarsi con quel processo che egli definiva di “programmazione concertata”, nel cui ambito andavano collocate le nuove politiche di intervento pubblico. Piano Vanoni e Cassa del Mezzogiorno erano esempi di una strumentazione politica che introduceva elementi di novità nel governo del paese e che, per il Sud, rimandava al discorso sull’industria di stato e alla politica dei poli di sviluppo.

Dunque, la Cgil per Trentin doveva saper cogliere la complessità del Mezzogiorno dove, agli inizi degli anni Sessanta, cesure e discontinuità, pur comportando gravi squilibri sociali ed economici, disegnavano nuovi assetti produttivi. La politica dei poli di sviluppo nell’industria siderurgica e chimica modificava in profondità alcune realtà di antica tradizione industriale. Si pensi all’Ilva/Italsider di Bagnoli. Qui nel 1961 fu introdotto il ciclo integrale della lavorazione dell’acciaio,  la fabbrica venne ingrandita e si ruppe il precario equilibrio con il contesto ambientale che, fino ad allora, era stato possibile preservare. Inoltre furono incrementate le assunzioni e si ebbero importanti ricadute sul piano delle relazioni aziendali. Furono infatti introdotti nuovi criteri di classificazione e valutazione del lavoro operaio, la job evaluation - le cosiddette paghe di classe -  che sostituirono le vecchie qualifiche. Trentin peraltro sottolinea  come il nuovo sistema di valutazione influenzò la strategia di tutte le organizzazioni sindacali.  Nel caso della Cisl, ad esempio, contribuì al “superamento della sua ideologia dell’integrazione per affermare più nettamente la propria natura di organizzazione rivendicativa ”.
La capacità di comprendere la complessità e la dinamicità del Mezzogiorno fa sì che Trentin colga in pieno il significato e il ruolo dei lavoratori meridionali nell’autunno caldo. Il giudizio su quella stagione di lotte operaie tende a sottolinearne la radicalità, la capacità di mettere in discussione l’intero impianto della grande fabbrica fordista: orari, ritmi, divisione del lavoro, nocività . Molto importante è la riflessione sui lavoratori meridionali immigrati. Trentin afferma che essi hanno una condizione di stabilità occupazionale e che di conseguenza non è possibile attuare strategie di discriminazione nei loro confronti:
La peculiarità dello sviluppo industriale delle vicende del conflitto di classe in Italia sta anche nel fatto che in tutti gli anni della ristrutturazione capitalistica e in quelli successivi del cosiddetto miracolo economico, l’industria italiana abbia dovuto reperire la nuova manodopera di cui aveva bisogno unicamente nell’esercito di riserva latente dell’agricoltura e delle regioni meridionali sotto forma di immigrazione permanente dei lavoratori con pieno diritto di cittadinanza e di organizzazione e “tendenzialmente” con pari livelli di cultura rispetto a quelli già occupati.

Dunque nelle fabbriche del Nord l’operaio meridionale è un lavoratore stabile, non precario, il che contribuisce a spiegarne il protagonismo nella stagione dell’autunno caldo. D’altro canto, l’intero movimento operaio si muove in quegli anni in una prospettiva fortemente unitaria. Lo sciopero per l’abolizione delle gabbie salariali, il 12.2.69, è dentro una strategia che tende a garantire condizioni di parità ad operai che svolgono la stessa mansione Di qui la necessità di superare differenze territoriali, vale a dire, in primo luogo, tra Nord e Sud.

Ritorna però il discorso sulla complessità del Mezzogiorno. Se è vero che durante l’autunno caldo si crea una fitta rete di relazioni operaie sia nella grande fabbrica del Nord che nel tessuto industriale del  Sud, sono  anche da considerarsi processi di segno diverso. Nel Mezzogiorno gli squilibri economico-sociali generano conflitti e contraddizioni che sono alla base del continuum di rivolte che, a fine anni Sessanta, si susseguono, per lo più nel Sud, ma anche in altre aree del paese. Fondi, Battipaglia, Pescara e, soprattutto, la lunga insurrezione di Reggio Calabria pongono il problema di proteste che favoriscono processi di estraneità e di aperta contrapposizione con le istituzioni dello stato repubblicano, assumendo spesso tratti eversivi. Queste rivolte non sono espressione di arretratezza e jacquerie, ma sono dentro la modernizzazione dell’economia e della società meridionale. In tal senso resta puntuale il giudizio di Manlio Rossi Doria che, partendo dalla rivolta di Battipaglia, osserva: “L’esplosione non ha origine nel mancato sviluppo, ma in uno sviluppo caotico, instabile, precario, irrispettoso di ogni ordine e civile disciplina”.

L’organizzazione sindacale, in quella fase autorevole interlocutore delle forze politiche, è chiamata a misurarsi con lotte e rivolte che tendono ad assumere una connotazione antidemocratica. Si ricordi che sono gli anni in cui si ridefinivano i rapporti tra i tre sindacati confederali,  le quali, nel luglio 1972, diedero vita al patto federativo tra Cgil, Cisl, Uil. B. Trentin fu tra i promotori e gli organizzatori della manifestazione sindacale organizzata a Reggio Calabria, il 22 ottobre del 1972.
Infine vorrei soffermarmi su un terzo aspetto della sua elaborazione che è di grande interesse per il Mezzogiorno. Ancora una volta, Trentin mette in discussione vecchi schemi, intuendo con prontezza la crisi del modo di produzione incentrato sulla grande  fabbrica fordista. Analizza in profondità le nuove realtà della globalizzazione e dell’informatizzazione, con il connesso emergere di molteplici tipologie di lavoratori precari. Trentin si fa sostenitore di un’idea di sindacato incentrata sulla solidarietà e sui diritti di cittadinanza. In questa problematica rientra la riflessione sul welfare, il cui modello universalista, sul finire del Novecento, appare in piena crisi. Egli prova a sviluppare un’ipotesi di welfare che si configura come strumento di sostegno al reddito e, nello stesso tempo, come opportunità di long life learning. Questa strategia favorisce il diritto alla cittadinanza perchè promuove, attraverso l’intreccio formazione-lavoro-reddito, meccanismi di inclusione. Nel medesimo tempo essa contrasta ciò che Trentin definisce “cattivo assistenzialismo universalistico”, di cui esempi consolidati si ritrovano nelle città del Mezzogiorno:
Abbiamo i monumentalisti di Napoli che continuano a ricevere un’indennità di disoccupazione da venti anni e che rifiutano anche il principio, contenuto nella legge, che questo beneficio venga dato a turno, alla fine di ogni anno, a nuove persone che domandano occupazione.
Mettere in discussione categorie d’analisi superate dalle trasformazioni del paese, individuare l’importanza dei processi che ridisegnano il mondo del lavoro, elaborare proposte e strumenti per i nuovi compiti del sindacato sono i tratti salienti della riflessione di Trentin. L’attenzione verso il Mezzogiorno è costante e ciò acquista un significato ancora maggiore oggi, di fronte ai ripetuti tentativi di creare conflitti e dicotomie tra Nord e Sud. Si pensi alla proposta leghista di reintrodurre le gabbie salariali.
Anche per questo la lezione di Trentin è più che mai attuale.