Rivoluzione tecnologica, ambientale ed energetica
Profonde trasformazioni tecnologiche, ambientali ed energetiche, fra loro interconnesse, riguarderanno non solo impresa e lavoro ma, contemporaneamente, i nostri stili di vita futuri, i rapporti tra stati e la condizione stessa del pianeta. Non solo avvengono contemporaneamente, e questa è già una grande novità, ma in Italia si sviluppano in una situazione difficile e pericolosa, che somma fra loro diversi problemi strutturali. Dopo la grande crisi, l’economia italiana è stagnante, con tendenza al ribasso, come testimoniano gli ultimi dati su Pil e produzione industriale, mentre è in calo da cinque anni il numero degli abitanti, una vera e propria “recessione demografica”. La fiducia verso il futuro, uno dei fondamentali fattori delle scelte di famiglie e imprese, è bassa soprattutto fra le imprese. Tutto questo si traduce in effetti relativi all’occupazione, alla produzione, ai consumi e agli investimenti, a cui si preferisce se possibile il risparmio, che rischiano di auto alimentare una spirale negativa.
Il nuovo avanza velocemente, ma è oggettivamente condizionato da questi fattori che rischiano peraltro di indirizzare e contaminare le scelte future verso fenomeni di competizione al ribasso (una nuova fase di competizione di costo, stavolta 4.0?). E infatti le attuali ripercussioni su lavoro e produzione paiono ancora oggi più legate ai vecchi meccanismi di sviluppo rispetto ai nuovi.
Un sommario riassunto dello stato attuale potrebbe essere così articolato.
Lavoro
- il numero degli occupati cresce, ma con la stagnazione nell’ultimo trimestre è già fortemente rallentato, più occupati ma minor quantità di ore lavorate, ovvia per gli indipendenti che calano in numero complessivo, meno per i dipendenti che, aumentando di numero, dovrebbero avere una maggior quantità di ore lavorate ed invece sono ancora sotto il totale del 2008;
- peggiora quindi la qualità del lavoro italiano, aumenta l’involontarietà e il precariato (oltre 6 milioni di persone fra part time involontario e tempo determinato); perpetuando un meccanismo di utilizzo del lavoro, in particolare del nuovo lavoro dal 2008 in poi, prevalentemente come fattore di competitività di costo e non di qualità;
- l’insieme di questi meccanismi, in un paese in cui anche i redditi sono stagnanti, amplia un’inaccettabile area di lavoro povero.
Produzione
- L’Italia è un paese prevalentemente manifatturiero, con una forte vocazione alle esportazioni. Un rallentamento globale dell’economia, la crisi cinese conseguente all’epidemia, elementi di protezionismo e dazi (cavallo di battaglia dei sovranisti) ecc., rendono più debole questa vocazione produttiva del Paese e non sono ovviamente controllabili solo da noi;
- la nostra base produttiva si è ristretta durante la crisi, per la chiusura di tante micro imprese; una parte delle aziende sopravvissute (in particolare le piccole imprese) non ha scommesso sull’innovazione di prodotto oltre che di processo, e questa è una delle cause della nostra stagnazione.
Italia e nuove tecnologie
Si innesta qui, il bilancio sullo stato di introduzione delle nuove tecnologie in Italia.
Istat, nel suo rapporto relativo a ICT, imprese e cittadini, rivela un quadro di luci e molte ombre:
- continua a crescere la diffusione della tecnologia ICT, ma permane un gap rilevante rispetto agli altri paesi europei. La quota di famiglie che accedono ad internet mediante banda larga ancora non riguarda oltre il 25% delle famiglie. Resta un forte divario digitale sia generazionale che culturale: la maggior parte delle famiglie senza accesso ad internet indica come principale motivo la mancanza di capacità (56%), il 25% dichiara di non considerare internet uno strumento utile e come terzo motivo un non accesso legato ai costi.
- Per le imprese il dato riguarda solo quelle sopra i 10 dipendenti, e di queste il 41% nel 2019 dichiara una velocità di connessione di almeno 30Mbit/s e il 13,8% di almeno 100. Poco più del 16% delle imprese manifatturiere segnala un livello di digitalizzazione alto o medio alto e sostanzialmente solo in queste si impiegano in modo strutturale esperti ICT, nonostante che profili di digitalizzazione più evoluti si associno a livelli più elevati di produttività del lavoro. Ben il 68% delle imprese (sempre sopra i 10 dipendenti) dichiara di utilizzare personale esterno. Sono in aumento le aziende che investono sulle competenze digitali attraverso la formazione per i propri addetti, ma restano solo il 19,4%.
- Poco più della metà degli utenti internet ha acquistato on line. Le vendite online sono molto contenute, solo 1 impresa su 7 le utilizza, per una quota di fatturato dell’11,5%.
E’ evidente dunque il ritardo di tre dei principali fattori futuri, si tratta solo di alcuni degli aspetti che hanno ripercussioni sul lavoro.
Altri più tradizionali sono: dimensione di impresa, capitalizzazione e accesso al credito, arretratezza della logistica, costo energia, differenze territoriali, ruolo pubblica amministrazione, redditi bassi anche conseguenza di un anomalo addensamento nelle qualifiche medio-basse dei lavoratori, numero più basso di laureati e contemporaneamente alto tasso di emigrazione dei giovani. Ma soprattutto, come dimostrano i dati, un forte calo degli investimenti, sia pubblici che privati.
Questo ritardo almeno dà “più tempo a disposizione per governare i cambiamenti?”. No, perché comunque le trasformazioni, tecnologiche, ambientali ed energetiche, si implementeranno ad una velocità a cui non siamo abituati e il “fattore tempo” è fondamentale per tentare di governarne le ripercussioni.
Gli interventi necessari quindi, a questo punto, per essere efficaci, devono essere quantitativamente importanti, ambientalmente indirizzati, rapidamente attuabili, sia per quanto riguarda gli investimenti che l’indirizzo degli incentivi e la tutela del lavoro.
Per la tutela ambientale non c’è più tempo e bisogna agire, non ci si può fermare alle dichiarazioni di intenti, tutte ovviamente positive, declinando obiettivi realizzabili, che abbiano come fine sviluppo e occupazione, entrambi sostenibili.
Non solo è possibile, è necessario. Ma questo significa a tutti i livelli, ripensare e orientare le politiche, la programmazione economica, le scelte industriali ed energetiche, la finanza e soprattutto gli investimenti pubblici e privati.
Nel futuro, solo o prevalentemente, queste attività potranno (dovranno?) beneficiare di agevolazioni europee (fuori dal computo o come elemento di flessibilità del deficit), dell’uso dei futuri fondi strutturali, delle politiche di incentivazione fiscale. Nell’immediato, a questi obiettivi vanno legati la corresponsione di incentivi alle imprese, va riprogrammato l’utilizzo dei fondi strutturali in scadenza.
Che ruolo può svolgere il sindacato e la contrattazione? Contemporaneamente il mestiere tradizionale e un ruolo innovativo.
Troppo spesso gli obiettivi ambientali sono proposti o letti in antitesi al lavoro, troppo spesso contestualmente la difesa del lavoro vede come unico meccanismo di tutela, un allungamento dei tempi degli interventi possibili.
E’ compito- invece- del sindacato avanzare proposte e produrre iniziative attraverso la contrattazione, che coniughino tutela e sviluppo di nuovo lavoro con le tematiche ambientali e la salute dei cittadini, quindi anche quella dei lavoratori: introduzione di specifiche norme nei contratti collettivi, formazione dei lavoratori ma anche di chi dirige le aziende per promuovere processi produttivi più ampi, con prospettive di crescita futura e probabilmente anche di risparmi del costo (riciclo, durata del prodotto, risparmi energetici, riduzione rifiuti, imballaggi, ecc.).
Contrattazione anche a tutti gli altri livelli: accordi quadro con il governo e il sistema delle imprese, secondo livello aziendale e territoriale, contrattazione sociale per lo sviluppo nel territorio.
Anche il tema delle risorse può e deve essere sviluppato in modo innovativo e coordinato.
Quanto già si spende oggi per spese sanitarie legate all’inquinamento, per dissesto idrogeologico, per lo smaltimento dei rifiuti, per la condizione degli acquedotti, per la variabilità del costo delle materie energetiche, ecc.?
Queste spese vanno prevenute e riorientate, attraverso un piano operativo ambientale almeno in parte immediatamente cantierabile.
Scelte ambientali coniugate a lavoro e nuove tecnologie: questo porta alla riflessione relativa alla strategia sindacale: come ragionare, sulla base di questi cambiamenti, di nuovo modello sociale e diritti del lavoro.
Il lavoro, nella vecchia ma purtroppo attuale idea di produzione, è troppo spesso associato all’idea di costo per la competizione. Quindi, se è solo fattore di costo ne consegue che meno costa meglio è, più è facile liberarsene, meglio è. Concezione inaccettabile.
Contestualmente, le teorie di disintermediazione del ruolo delle forze sociali riguardano il sindacato, ma in egual modo, l’associazionismo di impresa, una novità di cui le imprese non sempre si rendono conto. Occorre quindi evitare che una sbagliata idea di lavoro continui anche nel futuro o peggio, che questo “virus” si estenda ai nuovi modelli di produzione, autoriproducendosi attraverso l’intelligenza artificiale.
Perché non accada, il ruolo fondamentale spetta soprattutto a sindacati ed imprese, che alla pari, con pari dignità devono affrontare il problema.
Di nuove tecnologie si parla, soprattutto enfatizzando il loro ruolo per il superamento di lavori gravosi, insalubri, pericolosi; si cita meno invece il tema del superamento delle attività svolte da tanti addetti e di nuove attività che nasceranno ma spesso con tempi e numeri tra loro sfalsati; soprattutto molto meno il fatto che non tutta l’attività della singola persona sarà superata, ma solo alcuni aspetti finiranno per essere automatizzati.
L’effetto positivo verso cui puntare, è quello di una integrazione tra automazione e lavori altamente qualificati (su cui peraltro scuola e università devono riprogrammare la formazione), mentre invece, il rischio è effetti di parcellizzazione poiché le professioni consistono nell’eseguire un insieme di compiti non tutti facilmente automatizzabili.
Come si tradurrà tutto questo nella vita lavorativa delle persone?
Si tratterà di riduzione di orario e salario? Altri compiti sostituiranno quelli automatizzati? Il pericolo reale è quello di mini mansioni poco retribuite e con forte crescita di lavoro saltuario e povero, con conseguenze evidenti oltre che sulle condizioni materiali, sulla salute fisica e psichica delle persone.
Tutto questo comporta compiti nuovi per la contrattazione, solo alcuni esempi:
- Contrattazione dell’algoritmo: si ripete spesso nelle nostre riunioni che nel futuro il sindacato dovrà essere capace di contrattare l’algoritmo. Dobbiamo imparare formule matematiche o diventare esperti di informatica? In realtà, parliamo di un’attività molto più vicina al mestiere tradizionale del sindacato, ma molto meno casuale. L’algoritmo è un sistema di calcolo per risolvere un determinato problema, il meccanismo è legato agli input di immissione con cui il problema deve essere codificato, con un linguaggio che può essere eseguito da un calcolatore. Per intenderci, parlando di cucina, la ricetta non può prevedere “sale quanto basta”, è un linguaggio non codificabile dal computer. Il processo deve essere descritto in modo non ambiguo fino ai necessari dettagli e a noi spetta discutere e contrattare l’input, per far uscire un risultato sempre non solo non ambiguo ma molto diverso dal punto di vista delle tutele del lavoro.
- Salute e sicurezza: accade comunemente che l’implementazione di una nuova tecnologia avvenga prima di una buona comprensione degli effetti sulle persone, ma già oggi si vedono novità rispetto alle tecnologie ICT su stress, memoria a lungo e breve termine e comunicazione orale. Aspetti di una nuova fase della contrattazione su cui formare i nostri RLS ed RLST.
- Istruzione e competenze – orari-ammortizzatori: riqualificazione nel e sul lavoro è la priorità che tutti riconoscono. In Italia l’anomalo addensamento degli occupati nelle qualifiche medio-basse potrebbe produrre un effetto più accentuato di espulsione di lavoro esistente. A questo proposito, il tema dell’orario di lavoro, della formazione, di nuovi e tradizionali ammortizzatori sociali sono aspetti centrali di una futura contrattazione a cui, oltre alle risorse esistenti, vanno aggiunti nuovi incentivi ma anche la redistribuzione di quote di maggior produttività che l’automazione comporta.
Le piccole imprese sono maggiormente in difficoltà ad accedere economicamente e dal punto di vista delle competenze alle tecnologie 4.0; per raggiungere questa parte dell’apparato produttivo queste innovazioni devono essere accessibili a unità economiche poco complesse dal punto di vista organizzativo e con disponibilità limitate di risorse economiche e manageriali. Ma, anche in questo caso, i tempi non saranno quelli del passato; il ritardo è evidente ma le barriere, oggi spesso insormontabili, si abbasseranno in poco tempo, per chi vorrà scommettere sul futuro.
Sono solo alcuni esempi, ma i compiti e l’attività di un sindacato confederale non si esauriscono nella contrattazione.
L’IA propone problemi di etica. Integra al suo interno disparità culturali di genere? Non lo sappiamo con certezza ma è possibile, quello che è certo è che il problema non è solo quello dell’esattezza dei dati e della loro qualità, ma anche dell’imparzialità e diversificazione degli input, soprattutto per un sistema che, sempre più svilupperà una propria capacità autonoma probabilmente sulla base di questa programmazione iniziale.
Di privacy, poiché l’introduzione di questi sistemi influenzeranno molti aspetti dell’attività lavorativa ma non solo, pensiamo a come potrebbero interferire sui meccanismi di consenso politico e sindacale e soprattutto di democrazia e comunicazione.
Sono aspetti fondamentali di cornice. Più trasparenza e partecipazione attraverso le tecnologie è possibile e può ampliare possibilità di scelte e competenze ma, a condizione di un pluralismo vero accessibile e comprensibile da parte dei cittadini che dovrà portare ad un nuovo concetto di servizio universale digitale. E’ essenziale, anche come sindacato, avere sempre questo insieme di problematiche come sfondo della discussione.
Le novità, specie se non spiegate o governate, o peggio, utilizzate a fini di consenso di parte o di interesse economico, interferiscono nella gerarchia sociale. Una parte della popolazione potrebbe sentirsi sorpassata, non trovare risposte, essere più vulnerabile e quindi ostile, contribuendo ad aumentare il fenomeno dei cosiddetti “penultimi”, persone che hanno perso la speranza nel futuro e quindi particolarmente conflittuali con le novità e con chi, pur versando in condizioni anche peggiori, compete con la loro condizione. L’abbiamo già riscontrato con il fenomeno migratorio.
L’approccio quindi è fondamentale: rivoluzione tecnologica, ambientale ed energetica per migliorare le condizioni di tutti deve essere il messaggio e l’obiettivo. I fatti concreti, a partire dal lavoro, segneranno la credibilità di questo messaggio e il futuro livello di coesione sociale.