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La direttiva europea sul salario minimo adeguato e le sue ripercussioni nel quadro italiano

La direttiva europea sul salario minimo adeguato e le sue ripercussioni nel quadro italiano

Il quadro italiano descritto da Leonardi: la più alta copertura contrattuale (presunta/stimata) di tutta l’UE, e la peggiore dinamica salariale dei paesi OCSE. Il secondo miglior dato europeo, quanto a incidenza dei bassi salari, ma solo per i tempi pieni, indeterminati e coperti dalla contrattazione (leader). Altrimenti fra i peggiori di tutti, quanto a rischio povertà.

Da queste, e su queste clamorose ambivalenze e contraddizioni, ha preso corpo un animato dibattito – politico, sindacale e accademico – intorno alla tenuta complessiva del nostro sistema contrattuale e salariale. Unici, fra i cinque Stati membri senza salario minimo legale, a contemplare un cambio di casella, verso l’adozione di un minimo orario legale. Rispetto alla quale, la direttiva 2022/2041 fornisce svariati spunti e stimoli per fare il punto e vagliare l’opportunità e gli indirizzi di una riforma, ormai improrogabile.

Attraverso un procedimento dialettico, questo articolo passa in rassegna, approfondendole una ad una, le tesi e le antitesi dell’attuale dibattito italiano, segnalando di ciascuna i punti di forza e quelli di debolezza. Per suggerire infine una sintesi nella quale, col supporto costante della comparazione europea, si auspica un sostanziale adeguamento, nel segno di una sperimentalità incrementale. In cui una soglia minima oraria, di derivazione legislativa, possa conciliarsi con un potenziamento selettivo della contrattazione collettiva delle organizzazioni comparativamente più rappresentative.