Commento ai Istat sui prezzi al consumo - febbraio 2023
L’inflazione di febbraio si attesta al 9,2% (contro il 10% di gennaio). Si parla, sulla base di questi dati, di un rapido rallentamento del meccanismo inflattivo, affermazione statisticamente vera, ma nella realtà, per le persone si conferma un’inflazione molto alta ed aumenti ancora superiori sui prodotti che riguardano maggiormente le famiglie meno abbienti. Se infatti, questo parziale calo è soprattutto legato alla flessione dei prezzi dei beni energetici, l’effetto complessivo è stato in gran parte compensato da un ulteriore aumento dei prezzi dei beni alimentari, dei prodotti per la cura della persona, dei trasporti. Smentendo così in parte la teoria che anche gli aumenti di questi beni fossero in gran parte un riflesso dei costi energetici.
La cartina di tornasole è rappresentata dal cosiddetto “carrello della spesa”, per il quale la tensione inflattiva risale fino al +13%. La realtà è che l’inflazione già acquisita per il 2023 è del +5,5% (5,2% a gennaio), rendendo quindi prevedibile il raggiungimento o addirittura il superamento per fine anno del livello medio del 6%.
Con questi dati è evidente che chi soffre di più sono le persone e le famiglie meno abbienti. L’inflazione infatti è un meccanismo fortemente diseguale che ha un impatto più ampio sulle famiglie con minore capacità di spesa: nel 2022, per il 20% delle famiglie meno abbienti è stata quasi il doppio di quella del 20% delle famiglie più ricche.
In questa situazione non si può solo continuare a ripetere che non deve essere innescata una rincorsa prezzi-salari. Bisogna invece dire quali sono le scelte immediate che si mettono in campo, sia sul versante dell’intervento pubblico che da parte delle imprese per evitare che ci sia una parte della società, così fortemente svantaggiata rispetto agli andamenti inflattivi; altrimenti non solo è inevitabile ma è socialmente giusta una richiesta di riequilibrio salariale.