'Quella notte a Reggio Calabria'

Nel corso della Giornata di studio in onore di Bruno Trentin svoltasi a Salerno il 28 maggio 2009, sul tema “Il Mezzogiorno: da Battipaglia ad oggi. Realtà e problemi” ha svolto tra gli altri una relazione Michele Gravano. Eccone il testo.

Sarò poco organico e poco puntuale anche perché è difficile racchiudere la complessa vicenda politica ed intellettuale di una personalità straordinaria come Trentin: straordinaria non solo sul versante sindacale ma in generale. Egli non a caso è stato considerato uno dei padri della Repubblica Italiana, con merito e con titolo.

Sarò dunque un po' disorganico e intreccerò testimonianze ad alcune riflessioni e passaggi sull'esperienza politica e sull'analisi sul Mezzogiorno di Bruno Trentin. Nell'ultimo anno sono uscite pubblicazioni molto belle su Trentin, sulla sua storia e la sua azione, sul periodo della Resistenza. Anche l'ultimo libro curato da Michele Magno è concentrato su un filone del lavoro e sull'idea di libertà che Trentin aveva. Noi abbiamo l'intenzione (e, da questo punto di vista, è un appello a tutti i compagni, alle compagne, alle nostre strutture) di raccogliere il materiale dell'esperienza di Trentin nel Mezzogiorno e nella nostra regione, la Campania, che è stata oggetto di attenzione, di impegno e di iniziativa molto forte in tutto l'arco della sua esperienza sindacale.

E questo è un progetto editoriale che vorremmo realizzare anche approfittando dell'azione e dell'impegno di Gloria Chianese che, oltre ad avere una conoscenza molto attenta della Cgil e del sindacato nel Meridione, è un'attenta storica del Mezzogiorno - soprattutto nel ‘900 e nel dopoguerra, un dopoguerra che ha fatto giustizia di molte interpretazioni non fondate e su schemi in qualche modo imposti da altri punti di vista.

Quindi la prima cosa della quale mi sono interrogato per offrire una conoscenza dettagliata del pensiero di Trentin e della sua azione è proprio questa. Mi sono posto la domanda: Trentin può far parte della tradizione del pensiero meridionalista democratico e di sinistra? Dal mio punto di vista il sì è scontato – poi dirò perché – non lo è nel pensiero accademico e tra gli studiosi. Trentin è conosciuto e studiato per altri aspetti del suo pensiero e della sua riflessione, ma non lo è specificatamente per la sua connotazione meridionalista e lo sforzo che noi vogliamo fare - anche con il contributo delle Cgil meridionali - è quello di cogliere i nessi di una riflessione che è stata - come ha ricordato Gloria - in alcuni passaggi, molto più ampia, sulle connotazioni meridionali e sugli effetti dell'azione sindacale e anche sulle politiche del Mezzogiorno e soprattutto, per alcuni aspetti, riguardo al dibattito culturale e politico che ha attraversato il più grande partito di opposizione, il Partito Comunista.

Quando ero un po' più giovane, leggendo uno dei libri di Giorgio Amendola, rimasi colpito da un passaggio che raccontava di quando quest'ultimo, che era in clandestinità in Francia, andò a trovare il padre di Trentin, Silvio Trentin, a Tolosa. Mentre i due discutevano, Bruno Trentin che era ragazzino, un discolo, disturbava il colloquio tra il padre e Giorgio Amendola. Quest'ultimo si innervosì di questa presenza intemperante e disse una frase bellissima: e da lì cominciarono grandi litigi che sono durati per tutta una vita.

Bruno Trentin è stato, prima che dirigente sindacale, un intellettuale che ha saputo coniugare l'istanza azionista, che gli derivava dal padre, con la scoperta e l'approccio all'esperienza marxista e soprattutto la scoperta della classe lavoratrice. Quindi anche il rapporto con Gramsci è stato fecondo. Trentin come intellettuale è stato nel pensiero marxista europeo un innovatore, non uno scolastico. È stato ricercatore critico di un rapporto fecondo tra realtà e pensiero. Questa istanza, questa tensione che lui ha avuto sempre come intellettuale, l'ha portata nella sua azione politica e soprattutto nell'azione sindacale e nel rapporto, prima che con Amendola, poi con Di Vittorio.

Trentin partecipa alla elaborazione del piano del lavoro - che è stata la sua grande intuizione - piano del lavoro che non fu visto di buon occhio da parte del gruppo dirigente del Partito Comunista di allora, e che aveva dentro di sé l'esigenza - nella fase appena dopo la guerra e di fronte alle macerie - di una ricostruzione, di una ripresa del Paese che permettesse una crescita dell'occupazione. Fu una elaborazione molto feconda e Trentin partecipò, insieme anche a Vittorio Foa, a quella progettazione che in qualche modo contraddistingue la storia e le caratteristiche del sindacato italiano e della funzione della Cgil sia quand'era unitaria che in seguito alla scissione sindacale. Tale elaborazione contraddistingueva l'originalità dell'esperienza italiana e della riflessione che in quel momento si concentrava intorno ad una personalità come quella di Di Vittorio e a quella di giovani che erano portatori di un'ansia e anche di una cultura moderna. Non dimentichiamo che Trentin era di cultura francese, aveva studiato negli Stati Uniti e parlava correntemente più lingue, ed era stimolato anche da esperienze democratiche di altri paesi, di altre tradizioni sindacali e in quel passaggio nell'elaborazione del piano del lavoro vennero a maturazione suggestioni della tradizione democratica statunitense e un ruolo di originalità del sindacato.

Una visione fuori dallo schema allora imperante di cinghia di trasmissione dei partiti, sia della tradizione comunista che della tradizione della seconda internazionale ovvero la tradizione socialista, che in qualche modo configurava il ruolo del sindacato come rappresentante della condizione del lavoro e che si doveva occupare del salario, dei contratti e della sicurezza del lavoro e finire lì il proprio compito.

L'incontro con Di Vittorio è stato un incontro fecondo. Trentin coglie da Di Vittorio alcune dimensioni etiche molto forti, come il principio per cui il lavoratore per liberarsi e affermare la propria dignità dovesse conquistare una serie di elementi di fondo: l'istruzione e la conoscenza e l'orgoglio, la dignità e l'autonomia nei confronti delle classi dominanti e dei padroni. Condizioni che danno vita ad una suggestione molto forte. Dall'elaborazione del meridionalismo di sinistra, in particolare di Gramsci, Trentin coglie l'esigenza di un superamento della arretratezza delle condizioni del Mezzogiorno e in modo particolare dalla condizione di oppressione vissuta in campagna a causa dell'esistenza del latifondismo.

L'originalità di questa impostazione si manifesta anche nelle forme di lotta. La Cgil inventa in quel periodo lo sciopero alla rovescia, che era nel panorama della tradizione sindacale anche del Nord industriale una singolarità, perché lo sciopero alla rovescia proponeva un'impostazione non contestativa ma progettuale, perché si determinavano le mobilitazioni in rapporto ad un progetto di sviluppo e per dare occupazione ai lavoratori. Un'azione propositiva e progettuale, in cui gli stessi lavoratori diventavano protagonisti di uno sviluppo importante, elementi che sono sempre stati fondamentali nel pensiero di Trentin.

Nell'introduzione di Michele Magno, c'è un passaggio che vorrei ricordare. Egli dice: “Noi ci confrontiamo con il pensiero di Trentin non solo per documentare una riflessione nel corso delle vicende storiche ma soprattutto per vedere quanta parte del suo pensiero è attuale nel rapporto con i tempi”. E se mi consentite, questo è l'approccio che vorrei mantenere anche rispetto alle vicende meridionali e rispetto alla fase, precedente al '56, che conduce Trentin in un atteggiamento polemico con il gruppo dirigente dell'allora Partito Comunista, ovvero di Togliatti e di quella che poi è stata definita la destra storica capeggiata da Giorgio Amendola. E' la fase del passaggio del governo De Gasperi e del programma riformatore che il movimento di protesta del Mezzogiorno mette in campo dopo le lotte bracciantili. Il Partito Comunista e lo stesso Amendola furono molto critici rispetto alla politica di De Gasperi. Solo negli ultimi tempi dal punto di vista storico, e non soltanto da parte della tradizione cattolica, si sta ripensando all'interpretazione di quella politica, Trentin e la Cgil vede subito che quel passaggio è un passaggio importante, intanto perché si supera la politica di Giuseppe Pella e in secondo luogo perché si introduce un processo di modernizzazione. Amendola spara a zero contro la Cassa del Mezzogiorno; Trentin vede - anche perché ha avuto modo di riflettere sulle esperienze della politica di Roosevelt - con attenzione la funzione, il ruolo della Cassa del Mezzogiorno e anche le timide rotture del latifondo operato dalla riforma agraria che De Gasperi mette in campo. E la Cgil si apre a quel processo e a quella politica perché la vede come un processo di modernizzazione.

Ovviamente la questione fu controversa e, all'interno dello stesso Pci, furono prevalenti altre interpretazioni che poi vennero riprese anche nella fase della nascita dei primi governi di centro-sinistra. Gloria ha ricordato un altro passaggio di questo confronto interno e del ruolo del Mezzogiorno nella visione di Trentin dentro l'evoluzione del capitalismo italiano. Ci fu una polemica molto aspra tra Trentin e Amendola, perché Amendola vedeva l'evoluzione del capitalismo italiano sostanzialmente in una maniera negativa perché predominavano le forze fondamentali del capitalismo come quelle del monopolio, della rendita, del parassitismo e non erano prevalenti le forze dell'innovazione e anche le forze diciamo più liberali. Trentin invece, pur cogliendo questi aspetti, colse i processi di modernizzazione, ravvisò la nascita di nuovi modelli organizzativi che si andavano sviluppando e che comportavano una profonda trasformazione della composizione della forza lavoro e le trasformazioni anche della stessa condizione della classe operaia. Faceva quindi riferimento ad un approccio che imponeva una politica economica e sociale e sindacale completamente diversa, e questa è stata una costante che ha poi attraversato gli ultimi anni della sua attività politica almeno fino alla fine del Pci, che è stata riproposta anche con forza in più passaggi dallo stesso Amendola quando leggeva la funzione del Pci nella crisi italiana come il compimento di una rivoluzione sostanzialmente liberale che la borghesia italiana, proprio perché portatrice di componenti parassitarie, non era nelle condizioni di operare.

Trentin introduce altre riflessioni e coglie trasformazioni profonde, e questo avviene contestualmente anche all'assunzione di una responsabilità come quella della Fiom allora, che porta Trentin a dirigere la più grande categoria industriale della Cgil. L'esperienza è molto significativa. La Fiom, e poi la Flm, diventa il soggetto sindacale nel quale Trentin porta a maturazione, anche in un rapporto fecondo con le componenti cattoliche, del cattolicesimo sociale, alcune elaborazioni e alcuni sviluppi. All'interno del Pci, gli elementi della polemica erano fortemente condizionati dalla visione del ruolo del sindacato ed erano stati introdotti e difesi da Di Vittorio ma che la generazione che succede a Di Vittorio, anche con Lama, porta avanti con determinazione, senza non pochi conflitti, nella vicenda e nella politica della Cgil.

Soprattutto Amendola a più riprese, ritornerà a bollare tutti gli elementi di novità e di protagonismo, quello che poi noi abbiamo chiamato autonomia e concezione del sindacato come soggetto politico. Sono considerati come elementi di deviazione rispetto a una tradizione classica che segnava la storia e la vita di tutti i sindacati europei, diciamo dell'Europa libera di allora, e anche dei paesi dell'Est.

C'è un altro aspetto della riflessione di Trentin che poi si svilupperà in quegli anni. Di Vittorio dà una definizione compiuta e insuperabile del ruolo e dell'azione del sindacato, poichè dice: il sindacato deve essere autonomo dai partiti e deve essere indipendente dal potere economico. Un'espressione e una distinzione bellissima. Nella Cgil e nella Cisl questa intuizione si muove dentro la forza che allora avevano i partiti e l'organizzazione delle correnti. La Cisl pur essendo portatrice di una visione dell'autonomia, con connotazioni diverse, però eleggeva i propri rappresentanti in Parlamento. Anche la Cgil era organizzata per correnti (comunista, socialista), eleggeva per un periodo parlamentari ma poi interruppe questa pratica proprio in nome dell'autonomia. Quell'intuizione feconda che in quel momento si sviluppò nel rapporto dentro ai partiti, e dopo l'avvio delle esperienze unitarie soprattutto dei metalmeccanici negli anni Sessanta, porta all'affermazione dell'autonomia del sindacato e a quello che poi si definirà, negli anni Settanta, attraverso le incompatibilità, che ancora esistono nello Statuto delal Cgil ma che nascono lì, cioè con il sindacato inteso come un soggetto autonomo della politica, con una funzione distinta dalla funzione della politica e dalle funzioni elettive. Nel momento in cui uno assume funzioni politiche e assume funzioni elettive, decade dalla funzione sindacale.

Richiamo questo aspetto perché è ricorrente. Negli anni Settanta Trentin, nella direzione dei metalmeccanici, ritorna sulla questione del Mezzogiorno e ritorna con l'ansia dell'intellettuale. Le politiche della Cassa del Mezzogiorno e dell'intervento straordinario al Sud determinano delle trasformazioni profonde: in una prima fase, sul terreno delle infrastrutture; successivamente, attraverso l'azione delle partecipazioni statali, con un vero e proprio sviluppo industriale, quelle che noi per un periodo abbiamo demonizzato come le cattedrali nel deserto ma erano grandi investimenti industriali nella chimica, nella siderurgia. Trentin si misura con le trasformazioni e individua (con l'ansia che aveva anche Gramsci di costruire le forze motrici della rivoluzione, le forze motrici del cambiamento, le chiama Trentin) la nuova funzione della classe operaia, che era il soggetto nuovo e non più concentrato nelle grandi aree come Napoli, come Palermo ma era un processo più diffuso in tante parti delle province del Sud.

Trentin coglie queste trasformazioni e lavora perché il sindacato sia capace di interpretare, e soprattutto la Flm, le istanze di questa nuova classe operaia che è emersa nei processi di industrializzazione del Sud, in modo particolare tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio degli anni Settanta, quando poi, comincia la crisi petrolifera. Questa ansia ci porta a scoprire la nuova classe operaia del Sud.

C'è un altro aspetto. Trentin è stato sempre assillato, con la sua generazione (Gloria lo ricordava), dalla democrazia. La sua visione della democrazia ha dei connotati di originalità significativi. Pur apprezzando il compromesso della Costituzione italiana, ne ha visto anche i limiti. L'idea della democrazia che ha avuto Trentin è stata un'idea assillante e carica di tensioni, sempre. In modo particolare, la partecipazione per lui è stata un elemento fondamentale, soprattutto la partecipazione delle classi subalterne e della classe operaia per il ruolo che la classe operaia aveva all'interno delle classi subalterne.

Quando scoppiano i moti e le ribellioni, le lotte del '68 e del '69, l'avvio della strategia della tensione, la rivolta di Reggio Calabria, che è il punto più alto di questa operazione di tipo reazionario che mira, anche con le operazioni di golpe, ad affossare la democrazia, Trentin, insieme anche alla parte cattolica del mondo metalmeccanico, è quello che è protagonista di una grande mobilitazione della classe operaia a Reggio Calabria, che dà il segnale dell'allarme democratico e della risposta di massa rispetto a quella controffensiva, di fronte a un divampare della rivolta.

La vicenda voi la conoscete perché molti di voi, ne sono stati anche protagonisti. Vent'anni dopo, ero segretario della Camera del Lavoro di Reggio Calabria, organizzammo una riflessione su quegli avvenimenti, con Trentin, Reichlin e Giacomo Mancini. Quando andammo poi a pranzo, allora il segretario della federazione era Marco Minniti, Trentin ci raccontava le ore drammatiche, quando i treni partirono e arrivarono le notizie delle bombe. L'allora commissario della federazione di Reggio era Pietro Ingrao. Per cui la notte si riunirono in un albergo – ci raccontava Trentin – Ingrao, Lama, Marini, se non sbaglio, il segretario della Cisl, Carniti a decidere se dovevano bloccare e fermare tutto e annullare la manifestazione o farla. La valutazione fu condivisa da tutti: non si potevano fermare le macchine ma soprattutto non si poteva sottostare alla tensione. Con l'assunzione di responsabilità di una decisione difficile in quel momento, si decise, la notte, di mantenere la manifestazione che poi andò come andò.

La battuta di Trentin: che Dio ce la mandi buona altrimenti, ora che torniamo a Roma, chi li sente Amendola e Bufalini? ci dice: Ma voi che c'entrate con la rivolta? Questo a dimostrazione di come obiettivamente il sindacato in quel momento aveva assunto su di sé, anche per decisione della classe operaia, la responsabilità di difendere e di ampliare la democrazia, di ampliarla nei luoghi di lavoro e di consolidarla perché era un bene ed è un bene prezioso per il paese. Ed è stato, questo un elemento costante. È stata la più grande stagione unitaria di questo paese. Purtroppo in trent'anni l'abbiamo bruciata.

L'altro punto fecondo è rappresentato dalla vicenda del terremoto e successivamente, la questione della legalità. Sul terremoto, anche lì Trentin andrò in contrasto con Amendola e allora anche con Macaluso, perché vedeva il terremoto come una grande occasione di sviluppo e soprattutto di sviluppo democratico. Vedeva la crisi del sistema politico e istituzionale, vedeva la complessità dell'opera di ricostruzione e vedeva l'esigenza di farla, di farla bene, di sottrarla alle lobby, alle clientele e, nello stesso tempo, di sviluppare una democrazia. Allora – vi ricordate – anche nell'alto salernitano nacquero i comitati popolari. Trentin teorizzò l'agenzia, sul modello della Tennessee Valley, a cui affidare tutta una serie di compiti esecutivi, progettuali per sottrarli, alle difficili e fragili spalle degli enti locali. Ovviamente chi si oppose a questa operazione fu Macaluso, che allora era responsabile della politica del Mezzogiorno, e poi avemmo la 219 che era un'esportazione del modello emiliano nelle realtà del Sud.

Un altro punto importante riguarda i disoccupati. Trentin ha sempre considerato i disoccupati come un esercito di riserva che non doveva essere utilizzato contro i salariati, ma è stato, nella realtà di Napoli, anche un feroce critico, anche delle politiche di sinistra, delle politiche clientelari e assistenziali. Lui è stato un teorico dell'universalismo e della distinzione tra politiche formative e politiche di sostegno alle fasce che allora si chiamavano di drop out che il mercato del lavoro delle realtà meridionali determinava.

In quest'ansia di comprensione del nuovo, Trentin si misura anche con l'evoluzione della legalità e della condizione della legalità nel Mezzogiorno. In quegli anni, e ancora oggi, c'erano due tesi su come contrastare l'illegalità e la criminalità. C'era la tesi che per contrastare l'illegalità e la criminalità bisogna favorire lo sviluppo, perché lo sviluppo toglie brodo ai criminalità ed elimina le condizioni della criminalità. Un'altra tesi, che allora era sostenuta da quelli che cominciavano a lavorare alla comprensione delle novità dell'organizzazione criminale nel Sud, tra cui Falcone, che era un grandissimo amico di Trentin, sottolineava che per determinare le condizioni dello sviluppo bisognava contrastare e ridurre il potere della criminalità che era un ostacolo alla legalità.Trentin sembra favorire questa tesi, ma soprattutto è interessato a capire le novità dell'organizzazione criminale al Sud, e Falcone gliele fa capire molto bene e, approfittando anche dei rapporti intensi che allora aveva con il capo della polizia Parisi, sostiene tutta la legislazione della Dia, che allora era contrastata anche a sinistra, e la Cgil è un punto di riferimento per lo schieramento di nuovi magistrati nell'affermazione di una nuova struttura dello Stato per fungere da contrasto alle forme nuove dell'illegalità.

In questo contesto (ricordo un episodio che ci ha visti protagonisti con Carlo Ghezzi) approfondisce anche gli aspetti della funzione e del ruolo della massoneria. In quegli anni, dopo la P2, comincia a emergere anche una riflessione su un ruolo diverso che la massoneria opera al Sud. Nello Statuto della Cgil noi non avevamo il divieto di iscrizione alle logge segrete, anche perché fino allora era in voga l'idea, in larga parte fondata, che la massoneria era stata una componente importante della Resistenza italiana e aveva connotati democratici, pur essendo loggia segreta, e Trentin era profondamente connaturato a questa. Nella riflessione comincia a cogliere le degenerazioni. Passa qualche giorno prima di dare il via a un convegno nostro.

Ci sarebbero tante altre cose da dire anche rispetto al Mezzogiorno di oggi, alla sua visione della democrazia, le sue idee sulla democrazia economica che sono anche in rapporto alle discussioni che si sono aperte oggi sugli sviluppi della vicenda Fiat Chrysler. Rileggete la sua relazione alla Conferenza di programma dell'89 a Chianciano, è un testo fondamentale: lo è sia sulla riflessione del Mezzogiorno e sia anche sugli aspetti della democrazia economica. Sul Mezzogiorno, anche lì lui coglie le profonde novità e vede intanto l'esigenza del superamento dell'intervento straordinario, che poi affermeremo unitariamente prima del referendum e nel congresso del '92; afferma, dall'altro lato, che la questione del Mezzogiorno è una questione anche europea e dice alla Cgil: “attrezzatevi”, e dice anche alla riflessione meridionalista: “guardate il contesto nuovo nel quale si colloca la questione meridionale”. Era il 1989, se volete questo è un tema della campagna elettorale di oggi, ma lui lo vede allora nel dibattito interno della Cgil.

Sulla democrazia economica, e questo lo dico anche in rapporto alle questioni del confronto con la Cisl che si sono aperte, Trentin ha sempre rivendicato l'originalità dell'esperienza della partecipazione dei luoghi di lavoro dell'esperienza italiana, a cominciare dai consigli ai diritti di informazione. Certo, l'Italia, rispetto alla Germania, c'era arrivata dopo anche per le debolezze del capitalismo italiano, però è un teorico dell'originalità dell'esperienza italiana che deve saper guardare alle altre esperienze ma non assimilarle in maniera meccanica, perché le esperienze dei comitati di sorveglianza e dei comitati di gestione della Germania (questo sarà un tema di approfondimento anche dei nostri amici tedeschi) vanno bene in quella realtà ma nella realtà dell'esperienza italiana possono essere utili ma non sono esaustivi. Noi dobbiamo andare avanti sulla nostra esperienza e nell'individuazione anche di nuove opzioni.

Michele Gravano