Le tante tappe di un protagonista, Carlo Ghezzi

Bruno Trentin è morto il 22 agosto del 2007. Esattamente un anno prima era stato vittima di un brutto incidente mentre pedalava su una pista ciclabile disegnata tra le montagne dolomitiche della sua amata San Candido in Val Pusteria dove era uso da anni trascorrere i suoi periodi di riposo ed effettuare numerose arrampicate.

Con lui è venuto a mancare un protagonista, un dirigente che ha fatto la storia del sindacato italiano e che ha saputo pesare nel dibattito interno del Pci e di tutta la sinistra italiana. Bruno ha militato nella Cgil assumendo livelli di responsabilità crescenti alla fine del conflitto bellico, ha vissuto in prima fila, e sempre da protagonista, una buona metà della storia centenaria della confederazione.
Nato a Pavie in Francia nel dicembre del 1926, dove suo padre Silvio era dovuto riparare con tutta la sua famiglia per la sua intransigente opposizione al fascismo, Bruno, giovanissimo, ha preso parte alla Resistenza combattendo nelle formazioni di Giustizia e Libertà, poi, completati gli studi e conseguita una laurea ad Harward, nel 1949 è entrato a far parte del gruppo dirigente della Cgil operando nell’ufficio studi della confederazione diretta da Giuseppe Di Vittorio. L’incontro con il grande sindacalista di Cerignola ha segnato in modo irreversibile numerosi tratti della sua militanza sindacale e politica.
Trentin è stato vicino a Di Vittorio nel corso di molti passaggi difficili e significativi, dalla elaborazione del Piano del Lavoro alla partecipazione al contrastato congresso mondiale della Fsm che si tenne a Vienna nel 1953 poco dopo la morte di Stalin, dalla sconfitta che le liste della Fiom-Cgil subirono alla Fiat nel 1955 alla decisa autocritica che il segretario generale avviò, dalla coraggiosa presa di posizione che il segretario generale della Cgil assunse di fronte ai fatti d’Ungheria del 1956 al suo contrasto con il Pci e con la Federazione Sindacale Mondiale, di cui Di Vittorio era presidente, circa il giudizio da esprimere sul nascente Mercato Comune Europeo. Nel corso dell’ottavo congresso del Pci Trentin, responsabile della cellula dei comunisti della Cgil che lavoravano in Corso Italia, per le posizioni che difese venne escluso dagli organismi dirigenti di partito di Roma e del Lazio. Nel 1958 fu eletto vice segretario della Cgil nazionale, nel 1960 consigliere comunale di Roma nelle liste del Pci, nel 1962 assunse la segreteria generale della Fiom succedendo a Luciano Lama, incarico che manterrà fino al 1977. Nel 1964 venne eletto deputato alla Camera sempre nelle liste del Pci.
Ha guidato la Fiom, e successivamente la Flm, insieme a Pierre Carniti e a Giorgio Benvenuto nel corso dell’autunno caldo, è stato tra i promotori della storica manifestazione di Reggio Calabria convocata sulla parola d’ordine di “nord e sud uniti nella lotta”.
Nel 1977 Bruno Trentin è entrato a far parte della segreteria confederale della Cgil allora diretta da Luciano Lama, ha diretto l’ufficio studi e il dipartimento del mercato del lavoro, ha seguito per brevi periodi le tematiche del pubblico impiego, ha promosso la nascita dell’Ires-Cgil. Nell’autunno del 1988, dopo il breve periodo di direzione della confederazione affidato ad Antonio Pizzinato, è divenuto il segretario generale della Cgil.
Ha attraversato gli anni difficili contrassegnati dalla caduta del muro di Berlino, da tangentopoli, dalla crisi dei partiti che avevano promosso il Cnl, costruito la Repubblica ed elaborato la Costituzione italiana. Contrassegnati dalla necessità di ridefinire un nuovo assetto dei salari e della contrattazione dopo i defatiganti e lunghi anni spesi a difesa dell’istituto della scala mobile, dall’urgenza di risanare un debito pubblico italiano spinto oltre i limiti della tollerabilità da governi di pentapartito degli anni ottanta, spendaccioni e tutt’altro che riformatori. Nel 1994 ha lasciato la segreteria della Cgil e assunto la direzione dell’ufficio di programma. Da quella fase così convulsa, a differenza della stragrande maggioranza dei dirigenti di grandi organizzazioni politiche, economiche e sociali sia della sua generazione che molto più giovani di lui che vennero travolti insieme alle strutture che dirigevano, Trentin dalla sua Cgil è uscito rimpianto, stimato e apprezzato da coloro che aveva rappresentato, anche salutato con rispetto e accompagnato da sinceri riconoscimenti al suo valore da parte di vastissimi settori della società italiana decisamente estranei sia al sindacato che alle forze del lavoro.
Nel 1999 è stato eletto parlamentare europeo nelle liste dei Ds e ha seguitato ad essere protagonista nella ricerca e nella elaborazione programmatica sottolineando quasi con cocciutaggine la centralità dei processi formativi e l’importanza della diffusione dei saperi nella società moderna attraversata dalle vorticose trasformazioni alle quali assistiamo, insistendo nel mettere in luce che le intelligenze che vengono sempre più richieste ai lavoratori in luogo della loro forza fisica costituiscono la vera ricchezza di un paese in un mondo globalizzato.
Con lui scompare una figura significativa del movimento operaio e dello schieramento progressista italiano ed europeo, una figura complessa che ha vissuto una militanza intensa e lunga. Bruno Trentin è stato per decenni un dirigente molto popolare, autorevole, determinato, pervicacemente caparbio quando difendeva le sue idee e le sue proposte. E’ stato un grande e coraggioso innovatore, capace di andare controcorrente, sia quando le sue indicazioni sono state colte, sia quando sono state respinte nel corso di confronti e di discussioni non sempre facili che caratterizzano il sindacato confederale italiano e il variegato mondo del lavoro. E’ stato così quando Bruno, a fianco di Giuseppe Di Vittorio, difendeva contro i sindacati dell’Est europeo e contro quelli francesi, l’autonomia del sindacato, oltre che dai governi e dai padroni, anche dai partiti della sinistra, all’Ovest come all’Est; affermando così di essere un soggetto politico oltre che sociale, capace di elaborare e sviluppare una progettualità alta, non solo per difendere, consolidare ed estendere i diritti dei lavoratori, di contrattarne la condizione lavorativa, di recuperare una conoscenza più ampia del ciclo produttivo e dei fattori che caratterizzano l’organizzazione del lavoro, ma anche di proporre scelte di sviluppo e di progresso sociale ed economico all’intero paese, nel fare avanzare processi di riforma profondi ed incisivi.
Fu così quando si dimise dall’incarico di parlamentare nel 1965 per affermare quell’incompatibilità tra incarichi sindacali e incarichi istituzionali che era oggetto di aspra discussione sia nella Cgil che tra i tre sindacati dei lavoratori metalmeccanici che stavano sperimentando una avanzata stagione di unità d’azione. Fu così nell’autunno caldo quando guidò le poderose lotte dei lavoratori metalmeccanici che, portando a compimento la riscossa operaia degli anni sessanta e costruendo un significativo processo unitario, realizzarono le condizioni per la più grande stagione di conquiste salariali e normative della storia del lavoro del nostro paese. In quella fase Trentin contrastò come perniciosa, ma venne clamorosamente sconfitto, la politica degli aumenti salariali uguali per tutti, a suo giudizio foriera di eccessivi appiattimenti salariali che avrebbero distorto il giusto riconoscimento delle professionalità all’interno dei luoghi di lavoro.
In quella straordinaria vicenda politico-sindacale Trentin, pur scontando vivaci resistenze presenti nella Cgil e nel Pci, difese e sostenne l’esperienza unitaria dei consigli di fabbrica con i delegati eletti su scheda bianca, rappresentanti dei lavoratori e, al tempo stesso, strutture di base del sindacato nei luoghi di lavoro. Una esperienza che seppe rinnovare e trasformare il sindacato italiano che ebbe la lungimiranza di aprirsi al nuovo, integrando le novità espresse dai grandiosi movimenti del 1968-69 nell’organizzazione. Trentin guidò i lavoratori metalmeccanici alla storica manifestazione di Reggio Calabria nell’autunno del 1972 che si contrapponeva alle spinte eversive dei fascisti del “boia chi molla” per Reggio capoluogo e proponeva un avanzato terreno di battaglia politica e una piattaforma rivendicativa per uno sviluppo diverso del Mezzogiorno e del paese.
Quando nel 1980 un terribile terremoto colpì l’Irpinia e altre zone del Mezzogiorno Bruno intravvide con straordinaria lucidità i pericoli presenti in una ricostruzione guidata dalle clientele governative e corrosa dalla presenza capillare della criminalità organizzata e indicò invece le potenzialità presenti in un impegno collettivo nuovo, contrassegnato da un diverso manifestarsi della statualità e del suo possibile rapporto innovativo con il territorio e con la società. La ricostruzione come grande occasione di rinnovamento finì invece come purtroppo tutti sappiamo.
Ancora, fu sempre Trentin che seppe chiamare nuovamente alla mobilitazione i lavoratori di tutta Italia in una straordinaria mobilitazione che si tenne a Palermo dove, alla fine del giugno del 1992, concluse con un suo memorabile comizio la più grande manifestazione contro la mafia organizzata nell’isola che si tenne subito dopo l’assassinio del giudice Giovanni Falcone, della sua compagna e della sua scorta.
Trentin, dapprima vox clamans in deserto, a metà degli anni ottanta propose e seppe guidare a positiva conclusione il processo di delegificazione della contrattazione del pubblico impiego e la sua definitiva privatizzazione, si impegnò per decretare l’uscita dei rappresentanti sindacali dai consigli di amministrazione di ogni tipo e, verso la fine di quel difficile decennio, lasciò nella storia del sindacalismo confederale italiano due segni profondi e incancellabili.
Tale fu la scelta del sindacato dei diritti, proposta nella conferenza dei delegati e dei quadri della Cgil di Cianciano nella primavera del 1989, tenutasi poco dopo la sua elezione a segretario generale, e fatta successivamente propria dal congresso della Cgil tenutosi a Rimini nel 1991. Ancora tale fu lo scioglimento della corrente comunista, deciso nell’autunno del novanta, decisione che aprì definitivamente la strada alla costruzione di un sindacato di programma, un sindacato che vede le proprie aggregazioni interne basate su diversi progetti che si confrontano e non invece sulle appartenenze partitiche.
Bruno visse un passaggio molto critico nell’estate del 1992 quando il governo, diretto da Giuliano Amato impose il superamento della scala mobile senza nel contempo costruire una nuova e adeguata struttura del salario e della contrattazione. Trentin passò attraverso la presentazione delle sue dimissioni da segretario della Cgil, ampiamente respinte dal comitato direttivo. In quei mesi fu oggetto anche di alcune dure contestazioni di piazza insieme con altri dirigenti del sindacato confederale.
Nel luglio del 1993, quasi prendendosi una metaforica e clamorosa rivincita, Trentin sottoscrisse con il nuovo governo, guidato da Carlo Azeglio Ciampi, e con la Confindustria, guidata la Pier Luigi Abete, un ampio protocollo che innovava profondamente il sistema delle relazioni industriali, ridefiniva la struttura dei salari e della contrattazione unificandone le regole per tutti i settori privati e per quelli pubblici, per la grande, la media e la piccola impresa, per l’industria, per i servizi e per l’agricoltura, unico esempio concretizzatosi in tutta Europa e modello che è ancora sostanzialmente valido a tutt’oggi. Quelle regole hanno permesso al paese di produrre quello sforzo generale corale e socialmente equo che gli ha consentito di avviare il risanamento del debito pubblico e di realizzare le condizioni necessarie per entrare, tutto intero, nel gruppo di testa dei paesi che hanno dato vita all’Unione Europea con il contributo coerente, cosciente e decisivo dei lavoratori e dei pensionati. Dopo la non facile consultazione tra i lavoratori che approvò quell’importante accordo Trentin maturò la decisione di ritenere conclusa la sua esperienza di direzione della Cgil al suo livello più alto.
Dotato di uno straordinario carisma, non era persona con la quale fosse facile rapportarsi. Poteva apparire prigioniero del suo carattere riservato, contrassegnato da tratti di chiusura e di ruvidezza e, al tempo stesso, di timidezza. Qualcuno poteva magari scambiare questi tratti per alterigia, Bruno era invece capace di esprimere rapporti gioiosi; capace di una singolare ironia era uso prodursi in numerose circostanze in battute divertenti e taglienti. E’ stato un intellettuale dotato di un forte carisma che ha saputo farsi ascoltare e apprezzare ben al di là delle sole forze del lavoro. Un uomo che ha saputo assumere sempre la piena responsabilità delle proprie proposte e delle proprie idee, con passione e con determinazione, tenendo ben sempre fermi nella sua visione della società moderna i riferimenti al lavoro e alla libertà. Ha sempre operato, come gli ha insegnato Giuseppe Di Vittorio, per costruire l’unità tra i sindacati e tra i lavoratori.
Uomo della Cgil non ha mai fatto mancare la sua voce nel dibattito politico della sinistra italiana ed europea sapendo andare spesso controcorrente, sfuggendo sempre da schemi precostituiti e da certezze dottrinarie. Non ha fatto mai mancare il suo prezioso e originale contributo nella discussione del partito del quale è stato un militante autorevole, molto noto, prestigioso e significativo. Non amava definirsi, ne tanto meno farsi definire, un riformista. Nella sua ultima intervista, a proposito della riorganizzazione delle forze politiche del campo progressista del nostro paese, intervenendo sulle prospettive del futuro partito democratico, ha riaffermato che avrebbe voluto morire socialista.

Carlo Ghezzi