“Le lotte sindacali nel Brindisino”: un pezzo della nostra storia

Pubblichiamo la recensione di Mattia Gambilonghi al libro di Cosimo Zullo, Le lotte sindacali nel Brindisino (1971-1981). Dirigenti, memorie, avvenimenti.

 

«[…] ripercorrere la storia per farla conoscere è compito altamente politico, e anzi una delle forme più alte nelle quali oggi si possa fare politica in Europa». Si esprime così Marco Barbieri, nella sua prefazione al libro di Cosimo Zullo, Le lotte sindacali nel Brindisino (1971-1981). Dirigenti, memorie, avvenimenti. Un giudizio che ci sentiamo di condividere, nel commentare il volume di Zullo, opera a cavallo tra l’autobiografia, l’aneddotica e la storia sociale. A fronte infatti dello scenario odierno, segnato da una narrazione irenica e aconflittuale, in cui l’unica libertà immaginabile (e forse anche auspicabile) è una libertà privatistica e consumeristica, restituire alla memoria la vicenda di un pezzo fondamentale del movimento contadino e bracciantile meridionale, come appunto quello pugliese e brindisino – movimento che ha fatto vivere e ha messo concretamente in pratica una concezione politica e collettiva della libertà – è opera assolutamente meritoria.

Tanto più se la storia di un movimento sindacale come quello pugliese e brindisino ci racconta non solo un processo di miglioramento delle condizioni materiali di vita, non solo un processo di redistribuzione delle ricchezze e delle chances di vita, ma ci parla in primo luogo di quel lungo e tormentato processo di apprendimento che porta gruppi sociali un tempo marginali e subalterni a divenire pieni cittadini di una Repubblica che ha voluto, non a caso, assumere come proprio fondamento e principio ordinatore quello del “lavoro”. Lo spaccato pugliese, dunque, non solo come un pezzo di quel più generale percorso che ha portato i lavoratori  (e più in generale i “subalterni”) dalla condizione di “sfruttati” a quella di “produttori” – formula con cui Bruno Trentin indicava la trasformazione del lavoro da mero oggetto ad autentico Soggetto, proprio per l’acquisita capacità di “dire la propria” su fine e senso di un processo produttivo non più subito passivamente –, ma anche come esempio di quella secolare “lotta per il riconoscimento” e per un’uguale dignità che secondo il filosofo Axel Honneth contraddistingue la modernità.

L’attività sindacale nella Puglia del dopoguerra – segnata come tutto il Meridione d’Italia da forme di proprietà feudali e da rapporti lavorativi simil-schiavili – si inscrive proprio in questa traiettoria, dentro cui convivono, intrecciandosi, l’impegno per la modernizzazione del tessuto produttivo-imprenditoriale del territorio regionale e la trasformazione delle masse bracciantili in cittadini e in potenziale classe dirigente. L’approccio con cui il sindacato (la Cgil e in particolare la Federbraccianti) conduce la lotta per il superamento dei contratti colonici e mezzadrili e per la loro trasformazione in contratto d’affitto, risponde proprio a questa logica, mirante a tenere unite le diverse dimensioni della “crescita”: economica, sociale e civile, per i singoli contadini e per il territorio tutto. Come sottolinea nel suo intervento Angelo Lana (storico dirigente della Federbraccianti), la battaglia contro gli arcaismi dei patti colonici non ha a che vedere solo con le quote di riparto, con la suddivisione e l’entità delle spese di conduzione, o, ancora, con l’estensione di misure assistenziali e previdenziali al mondo del lavoro agricolo. Più al fondo, ad essere in ballo sono la contestazione di un determinato modello di agricoltura e la rivendicazione di un «sistema agricolo» rispondente «ai bisogni della società»: la rivendicazione di un intervento complessivo sugli impianti di irrigazione, avanzata nel 1981 da Zullo nel suo intervento al congresso nazionale della Federterra, è perfettamente rappresentativa di questa tensione verso un approccio sistemico ai problemi dei contadini e del mondo agricolo.

Esigenze che chiamano ad affrontare e rimettere in discussione tutto un insieme di «rapporti sociali e produttivi», nel quadro di un organico progetto di riforma della società, capace di mettere in sinergia settore agricolo e settore industriale, fuori da qualsiasi visione corporativa e romantica dell’agricoltura. Questa linea di ricerca raggiungerà il suo apice in occasione del congresso della Cgil del 1973 – quello di Bari –, durante il quale viene enucleata da Luciano Lama quella che passerà alla storia come la “proposta globale”. Ovvero, un impianto programmatico finalizzato a coordinare e rendere coerenti tra loro le istanze e gli obiettivi dei diversi settori del mondo del lavoro italiano, nel quadro di una cornice unitaria e di un modello di sviluppo alternativo, volto ad allineare il paese alle più avanzate democrazie sociali europee.

Le testimonianze, i ricordi, le ricostruzioni storiografiche di alcune delle principali trasformazioni del tessuto produttivo brindisino, così come delle strategie sindacali e delle piattaforme rivendicative messe in campo, mostrano quindi, a partire dalle parole di uno dei protagonisti della “seconda generazione” di dirigenti sindacali di età repubblicana – quella che “apprende il mestiere” e raccoglie il testimone dei capilega, storici leader popolari, autodidatti alla Di Vittorio, plasmati e prodotti autonomamente dalla classe nel vivo delle lotte e del conflitto sociale –, come l’esperienza pugliese della Federbraccianti abbia rappresentato l’intelligente e la duttile applicazione ad un territorio dotato delle sue specificità e peculiarità, di quell’idea di confederalità che ha connotato sin dalle origini il movimento sindacale italiano e in particolar modo la Cgil. E di questa traduzione nel contesto pugliese, il “caleidoscopio” di vicende umane e militanti costruito da Cosimo Zullo ci restituisce una fotografia calzante e dettagliata. 

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