Una bibliografia ragionata dalla Cgil di Bergamo

A cura di Eugenia Valtulina (Biblioteca “Di Vittorio)

I libri di Bruno Trentin

“Proprio dalla vivida descrizione della situazione sociale a Sarnico negli anni ’60 [...] è difficile sfuggire all’impressione, per dirla con Brecht, che “il ventre è ancora fecondo” e che può ancora provocare nuove fratture e nuovi lutti anche se magari si natura assai diversi da quelli che hanno portato alla morte di Mario Savoldi. “Il ventre è ancora fecondo” se di fronte ad una lunga fase di passaggio e di profonda trasformazione delle strutture economiche, degli assetti societari, dei sistemi di relazione, contrattuali e civili, come quella che attraversiamo in questi anni di tramonto del fordismo, la società civile e le pubbliche istituzioni non si dimostreranno capaci di governare il cambiamento con nuove regole, con la sanzione di nuovi diritti e di nuove responsabilità. Il rischio che si ripetano situazioni di capitalismo selvaggio, di sottosalario, di sfruttamento della manodopera giovanile, di occupazioni precarie sottoposte al volere dispotico dell’imprenditore e che, in questo clima di ‘legge della giungla’, anche gli animi, le culture della vita quotidiana si imbarbariscano ed esprimano, innanzitutto, una sete di potere e di guadagno o, all’opposto, di sopravvivenza ad oagni costo è un rischio tutt’altro che ipotetico”
Bruno Trentin, dalla Prefazione a Cronaca di una serrata. I fatti di Sarnico (maggio 1961), di Carlo Simoncini, Quaderni della Biblioteca “Di Vittorio”, 1997

Ricostruire una bibliografia che dia conto di quanto Bruno Trentin ha scritto nella sua vita è un impegno decisamente gravoso: intellettuale autentico, le interviste, gli articoli per le riviste, le stesse prefazioni e introduzioni che, in qualità di segretario della Fiom prima e della Cgil poi gli venivano probabilmente chieste ogni giorno non sono mai banali o “di rito” e meritano una lettura attenta e ragionata, come chiavi interpretative importanti per la storia sociale degli ultimi sessant’anni del nostro paese.
A maggior ragione i volumi pubblicati, dove il pensiero di Trentin si articola con maggior respiro, rimangono strumenti fondamentali di studio non solo per gli addetti ai lavori ma per tutti coloro che vogliono capire.
Qui di seguito proponiamo un breve elenco di alcuni dei libri scritti dall’ex segretario della Fiom prima e della Cgil poi, con una sintetica scheda riassuntiva. (e.v.)

La liberta’ viene prima. La libertà come posta in gioco nel conflitto sociale, Editori Riuniti, 2004
“Che cosa resta del socialismo? Anche questo quesito deve trovare risposta in una “sinistra del progetto”. Certo, il socialismo non è più un modello di società compiuto e conosciuto, al quale tendere con l’azione politica quotidiana. Esso può essere concepito soltanto come una ricerca ininterrotta sulla liberazione della persona e sulla sua capacità di autorealizzazione, introducendo nella società concreta degli elementi di socialismo – le pari opportunità, il welfare della comunità, il controllo sull’organizzazione del lavoro, la diffusione della conoscenza come strumento di libertà – superando le contraddizioni e i fallimenti del capitalismo e dell’economia del mercato, facendo della persona il perno di una convivenza civile.”

Processo alla crescita. Ambiente, occupazione, giustizia sociale nel mondo liberista, con Carla Ravaioli, Editori Riuniti, 2000
“I disordini di Seattle e il fallimento del vertice del WTO hanno rivelato all’opinione pubblica le contraddizioni di un sistema socioeconomico che avrebbe dovuto invece armonizzare il pianeta sotto la guida del mercato. Sono contraddizioni legate a un equilibrio ecologico messo a repentaglio, all’aumento delle diseguaglianze sociali, alla precarizzazione del lavoro, all’affermarsi di modelli culturali fondati esclusivamente sull’individualismo e l’utilitarismo. Su questi temi si confrontano due voci che rappresentano anime diverse della sinistra italiana: quella che vede nello sviluppo economico una condizione per la creazione di una società più giusta, e quella che mette in discussione il modello di un’economia fondata sull’espansione.”

Autunno caldo. Il secondo biennio rosso (1968-1969). Intervista di Guido Liguori, Editori Riuniti, 1999
Accostare le lotte del 1968-69 al “biennio rosso” del primo dopoguerra non ha storicamente alcun senso. Ma, per fortuna, si tratta solo di una trovata titolistica. La lunga intervista a Trentin, all’epoca segretario della Fiom, non muove da una ricostruzione fattuale, ma offre un quadro interpretativo generale del ruolo che quella stagione di conflitti operai e studenteschi ebbe nello sviluppo della società italiana e che – per molti aspetti – attende ancora di essere analizzato dagli storici. I richiami a fatti, personaggi, episodi specifici, non mancano (e, anzi, costituiscono uno dei motivi di interesse del libro, anche per i riferimenti alla situazione internazionale), ma è evidente che lo scopo principale fosse di offrire a uno dei maggiori protagonisti di quei fatti l’opportunità di esporre un giudizio d’insieme, una propria valutazione storica e politica. Occasione che Trentin non si è lasciato sfuggire, articolando un’analisi di grande interesse (densa di osservazioni critiche), e confermandosi una delle figure di maggior spicco della sinistra italiana del dopoguerra. Il libro dunque non è solo un documento storico (cioè la testimonianza di un dirigente sindacale che traccia un bilancio di una fase ormai conclusa), ma è anche una sorta di manifesto politico-intellettuale, articolato attorno alla proposta di trarre dall’esperienza conflittuale di allora una lezione ancora attuale per la rinascita della sinistra. Di questa natura anfibia finisce però per risentire, lasciando il sospetto che molti giudizi sul passato siano filtrati (com’è inevitabile) dalle passioni del presente.

La città del lavoro. Sintesi e crisi del fordismo, Feltrinelli, 1997
La crisi del sistema taylorista di organizzazione scientifica del lavoro e la posizione di Gramsci e della sinistra europea di fronte al fordismo: due saggi sul lungo rapporto, fatto di adesione critica e  reciproca interazione, fra le sinistre dell’Occidente e le ideologie della razionalizzazione. Bruno Trentin ricostruisce l’influenza egemone esercitata dal taylorismo sulle concezioni del progresso e della politica prevalse nella sinistra occidentale e pone la questione di un ripensamento dell’identità stessa della sinistra, partitica e sindacale, partendo da una nuova considerazione del problema sociale della “liberazione del lavoro”. Dopo le discussioni sulle priorità della conquista del potere, della governabilità, dell’autonomia della politica e del neocorporativismo, la cultura di sinistra oggi deve ripristinare la centralità dell’autorealizzazione umana e della libertà nel lavoro, nel solco della grande tradizione dei diritti individuali nata con la Rivoluzione francese.

Di Vittorio e l’ombra di Stalin. L’Ungheria, il Pci e l’autonomia del sindacato, con Adriano Guerra, Ediesse, 1997
“La Segreteria della Cgil (…) ravvisa in questi luttuosi avvenimenti la condanna storica e definitiva di metodi antidemocratici di governo e di direzione politica che determinano il distacco tra dirigenti e masse popolari”. Così recitava un documento sulla rivolta ungherese del 1956 approvato da Giuseppe Di Vittorio e dagli altri membri della segreteria della Cgil il 26 ottobre. Il libro di Guerra ricostruisce questo dissenso, il suo ripiegamento e la sua disfatta, retrocedendo, nella prima parte, alla battaglia tormentata, ma cionondimeno esplicita, condotta da Di Vittorio sin dai primi anni cinquanta al fine di rendere autonomo il sindacato dal partito e di superare, a Ovest come a Est, la prospettiva leninista che fa del sindacato stesso una semplice cinghia di trasmissione della “decisione” politica del gruppo dirigente comunista. L’atteggiamento assunto dalla Cgil nel 1956, dopo che già Di Vittorio aveva individuato nel rapporto di Chrusÿcÿëv al XX Congresso del Pcus una straordinaria occasione, non fu dunque un fulmine a ciel sereno, ma il punto d’arrivo di un percorso da tempo intrapreso. Mentre gli intellettuali si autoconvocavano – e contro di loro serpeggiavano nel Pci  oscurantistiche prese di posizione del tutto omologhe al noto “culturame” di Scelba – calò durissimo il richiamo all’ordine di Togliatti. Si apre, a questo punto, nel libro, uno squarcio di “virtual history”, un genere in voga nei paesi anglosassoni. Che sarebbe successo se Di Vittorio, “l’uomo più popolare nella sinistra, più di Togliatti” secondo il giudizio espresso nella breve appendice da Trentin, avesse prevalso? L’interrogativo, una volta tanto, aiuta a comprendere quel che veramente accadde.

Nord sud. Lavoro, diritti e sindacato nel mondo, con Luis Anderson, Ediesse, 1996
“In certi casi hanno eliminato un intero sindacato. In Guatemala, alla CocaCola, hanno ammazzato tutti, dai dirigenti agli iscritti di base.” Le testimonianze di Luis Anderson, narrate pacatamente, col tono della quotidianità, fanno capire più di mille argomentazioni la differenza tra la ricca Europa, dove un sindacalista si dedica all’estensione e alla salvaguardia dei diritti dei lavoratori e alla redistribuzione del reddito, e l’America Latina, dove imperano la miseria e l’oppressione e dove spesso è ancora in gioco il bene primario della vita. Il dialogo tra Bruno Trentin e Luis Anderson, prendendo le mosse dalla constatazione di queste differenze, disegna un’immagine straordinariamente efficace delle condizioni dei lavoratori nel mondo. Di fronte alla resistenze delle economie occidentali alla spinta dei paesi poveri, Anderson e Trentin propongono con forza una strategia di lotta comune per il sindacalismo internazionale, Anche perchè non c’è una linea diritta che divide il Sud dal Nord, la povertà dall’abbondanza, la democrazia dall’oppressione.

Il coraggio dell’utopia. La sinistra e il sindacato dopo il taylorismo, con Bruno Ugolini,  Rizzoli, 1994
Il fantasma del 1980 continua ad aggirarsi per il sindacato italiano. Non sarà semplice aiutarlo a trovar pace e non sarà possibile finché anche l’ultimo rimosso non verrà riacciuffato e, con coraggio, decriptato. Sarà come riaprire una ferita, dunque doloroso ma inevitabile per avere la meglio sull’infezione. Il fantasma ha un nome: i 35 giorni della Fiat, l’autunno degli operai e del sindacato. Una lotta indimenticabile si concluse con un accordo tra l’organizzazione dei metalmeccanici (la Flm) e la multinazionale dell’auto che ratificò le ragioni dell’azienda: gli operai “eccedenti” – termine odioso che antepone la presunta oggettività dell’economia alle ragioni e ai bisogni di uomini e donne in carne e ossa – furono espulsi dalle fabbriche. Un accordo, secondo molti, imposto dalle condizioni materiali, cioè da una sconfitta subita sul campo dagli operai. Forse non erano 40.000 i capi, i tecnici, gli impiegati che in un grigio mattino d’autunno sfilarono per le strade di Torino imponendo le loro ragioni di classe, ma erano sicuramente troppi per un movimento operaio aggrappato da 35 giorni ai cancelli della fabbrica, solo con l’immagine di Karl Marx contrapposta con un malcelato senso dell’orgoglio all’effige della Madonna appesa dai lavoratori polacchi ai cancelli di Danzica.
Bruno Trentin, che aveva difeso l’accordo dell’80, torna a riflettere sui 35 giorni e la conclusione della vertenza Fiat. Lo fa con un saggio introduttivo al libro di Pio Galli sui fatti di Torino e in “Il coraggio dell’utopia”, in cui l’ex segretario della Cgil risponde alle domande del giornalista Bruno Ugolini. Trentin parla di “una sconfitta per insufficienza di progetto” e aggiunge: “Sottovalutammo il fatto che ogni accordo esiste per come è vissuto dalla gente. E se l’accordo è vissuto come una sconfitta, anche se è stato approvato da un’assemblea, diventa due volte una sconfitta”. Un bel passo avanti. Aspettiamo il prossimo, quando si ammetterà che quell’accordo non fu approvato da alcuna assemblea, come ricorda Marco Revelli in “Lavorare in Fiat”.

Lavoro e libertà nell’Italia che cambia, Donzelli, 1994
Nel continuo e tumultuoso accumularsi di trasformazioni che ha caratterizzato la società italiana di questo ultimo decennio, il sindacato è sembrato essere specchio e sensore di una crisi di identità del mondo del lavoro, più che interprete lucido e coerente di possibili strategie di governo dei cambiamenti in corso.
Con la crisi dei vecchi modelli gerarchici del capitalismo fordista è divenuta evidente anche la crisi dei modelli di rappresentanza e di autorappresentazione collettiva dei soggetti subalterni. Alla fine, è la stessa idea di lavoro ad essere sottoposta – nel senso comune, prima ancora che nelle teorizzazioni degli esperti – a una critica radicale, che riguarda i suoi contenuti, i suoi ambiti, persino il suo «valore», in relazione alle aspirazioni delle persone. Tornano cioè alla ribalta domande semplici e radicali, che sconvolgono le vecchie certezze delle società a capitalismo industriale. Vale la pena di lavorare? Potendone fare a meno, non sarebbe meglio rinunciarvi? Come sfruttare i vantaggi dell’enorme potenziale di innovazione tecnologica che viene dalla società informatica? E se di lavoro ce n’è sempre meno, non sarà auspicabile redistribuirlo un po’ per ciascuno? E quale rapporto c’è – ci deve essere – tra il lavoro e la vita, tra il tempo dedicato a lavorare e quello destinato al resto delle attività umane? E cosa sarà, allora, il «non-lavoro»? Dove collocare tutte quelle forme di prestazione non direttamente retribuita che pure sono parte notevolissima e crescente della pratica sociale di tanti individui?

Da sfruttati a produttori, De Donato, 1977
Da sfruttati a produttori si compie – nella concezione gramsciana . l’itinerario, a un tempo teorico e pratico, che la classe operaia moderna percorre per raggiungere dalla percezione elementare della sua condizione di fabbrica alla costituzione di una sua capacità di governo alternativo della società. Nei saggi raccolti in questo libro, l’itinerario diventa insieme criterio ordinatore e chiave in cui leggere criticamente le diverse fasi della lotta di classe che ha scosso l’Italia dalla fine degli anni Cinquanta fino alla prima metà degli anni Settanta. Dal mutuo condizionamento fra ciclo capitalistico e dinamica rivendicativa delle lotte operaie alla continuità che lega contenuti delle piattaforme di lotta e forme di organizzazione, dalla coincidenza fra contestazione pratica del regime di fabbrica negli anni Sessanta e ripresa della critica teorica delle ideologie neocapitalistiche alla frequenza con cui le lotte sociali chiamano in causa le forme della politica, le istituzioni, lo stato.
Di qui la singolare forza di analisi,ma anche una tensione politica e teorica che fanno di questo testo uno dei documenti più densi della riflessione che il movimento operaio sta compiendo sui caratteri della crisi attuale.

24 agosto 2007